West Side Story, di Robert Wise e Jerome Robbins

Un musical senza tempo che rielabora la tragedia di Romeo e Giulietta rompendo definitivamente con la tradizione. Vincitore di 10 premi Oscar tra cui Miglior film.

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West Side Story è uno di quei film talmente radicati nella cultura americana che non sorprende il forte desiderio di Spielberg di misurarsi proprio con questa storia e con un genere che, nato a Hollywood con l’avvento del sonoro, può raccontare il presente con graffio e leggerezza sublimando l’incanto dell’illusione.

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Il critico Di Giammatteo, a proposito di Cukor, Hawks, Borzage e altri, faceva notare quanto fosse importante comprendere il loro contributo alla fortuna dei generi e come questi evolvessero a contatto con istanze industriali e culturali. West Side Story non si potrebbe immaginare senza lo sguardo di Robert Wise a cui spetta la paternità della regia che condivise con Jerome Robbins, il quale aveva diretto e coreografato la produzione originale di Broadway e che venne chiamato per curare le coreografie delle sequenze musicali. Basta vedere il prologo per cogliere il punto di rottura rispetto a tutta la tradizione.

Nell’ouverture una composizione di linee astratte, realizzata da Saul ed Elaine Bass sulle musiche di Leonard Bernstein, prende lentamente corpo rivelando un disegno stilizzato di Manhattan; una dissolvenza ci trasporta sull’isola che viene attraversata dall’alto in una lunga veduta che ne traccia le geometrie composte; scendiamo sulla strada, su un gruppo di ragazzi, i Jets; i movimenti di macchina e il montaggio sono in simbiosi con la musica: l’inquadratura si allarga sui vari componenti della banda disposti secondo una costruzione piramidale, al vertice il capo. La sensibilità di montatore di Wise (Quarto potere, L’orgoglio degli Amberson), racchiusa in quel luccichio fatale di lame, e le diverse angolazioni che sperimenta (Cool è in questo senso il momento più alto) sono un correlativo straordinario delle atmosfere e dei sentimenti dei personaggi.

Forma e contenuto avanzano di pari passo. Con Robbins la lotta diventa danza, pugni e calci acrobazie. Viene anche messo in scena un tentato stupro senza che esso perda di dramma e tensione. Come siamo lontani dallo stile di Kelly e Astaire, da quella fisicità romantica e rassicurante che trasuda di sogno americano. New York, New York, it’s a wonderful town cantano Kelly, Sinatra e Minshin in Un giorno a New York, film che vede tra l’altro la collaborazione di Robbins e Bernstein; Life can be bright in America, if you’re all-white in America ribattono tra di loro i portoricani Sharks. Il pregiudizio e la discriminazione han fatto capolino anche nel cinema che in questo momento rappresenta una generazione di giovani smarrita e irrequieta che ha pochi contatti col mondo degli adulti.

Scegliere Natalie Wood per il ruolo di Maria è stata forse la spinta più naturale per portare avanti questo discorso: era un’attrice familiare per il pubblico – aveva iniziato a recitare fin da piccola; molte persone l’hanno vista crescere e sono cresciute insieme a lei. Oltre a essere accanto al ribelle per eccellenza, Wood all’epoca di West Side Story era appena uscita dal tormentato personaggio di Deannie nel melodramma di Kazan: anche lì una storia d’amore impossibile sullo sfondo di uno scontro familiare. Il film le valse una nomination agli Oscar – motivo per cui non poté essere candidata per la sua interpretazione di Maria, che del resto è il fulcro dell’intera vicenda: quando alla fine impugna la pistola sappiamo che qualunque scelta farà noi saremo al suo fianco. Il suo percorso di crescita e indipendenza sembra riflettersi nella vita professionale di Wood: l’attrice, che fu tra le coraggiose che sfidarono Jack Warner, ottenne il diritto di poter scegliere in autonomia un film all’anno; e il primo fu proprio questo.

West Side Story fece incetta di Oscar: su undici nomination ne vinse dieci tra cui vanno ricordati almeno i premi come miglior attrice non protagonista a Rita Moreno (che rivedremo nella nuova versione di Spielberg) e per la colonna sonora (le parole degli indimenticabili brani sono di Stephen Sondheim). Nel 1961 il film arrivò secondo al botteghino negli Stati Uniti, superato da La carica dei 101. Come il suo rivale (commerciale), la nuova creazione Disney si distanziava nettamente dai classici precedenti.
Non era un vero e proprio musical e aveva sonorità jazz e blues in sintonia con il gusto moderno. La bella addormentata nel bosco, di due anni prima, aveva toccato il vertice dell’animazione. Qui invece viene impiegata per la prima volta la tecnica xerox, un processo meno laborioso e costoso, che andò a sostituire l’inchiostro e la pittura portando con sé uno stile più immediato e poco fiabesco, che fece scuola per gli anni a venire.

 

Vincitore di 10 Oscar:

Miglior film

Miglior regia (Robert Wise, Jerome Robbins)

Miglior attore non protagonista (George Chakiris)

Miglior attrice non protagonista (Rita Moreno)

Miglior fotografia (Daniel L. Fapp)

Miglior scenografia (Boris Leven, Victor A. Gangelin)

Miglior costumi (Irene Sharaff)

Miglior montaggio (Thomas Stanford)

Moglior sonoro (Fred Hynes, Gordon Sawyer)

Miglior colonna sonora (Saul Chaplin, Johnny Green, Sid Ramin, Irwin Kostal)

 

 

Titolo originale: id.
Regia: Robert Wise, Jerome Robbins
Interpreti: Natalie Wood, Rita Moreno, Richard Beymer, George Chakiris, Russ Tamblyn, Simon Oakland, William Bramley
Durata: 151′
Origine: USA, 1961
Genere: musical

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.3
Sending
Il voto dei lettori
4.67 (3 voti)
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