What Does that Nature Say to You, di Hong Sang-soo

Con uno stile ormai sempre più spoglio, Hong Sang-soo arriva a sfiorare e suggerire qualcosa di essenziale. Un sentimento di precarietà ed evanescenza. BERLINALE75 concorso

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Bisogna godere dell’attimo, senza pretendere la conoscenza”. Quello che dice Donghwa alla sua ragazza, Junhee, assomiglia molto a quanto sosteneva il vecchio poeta di In Our Day. Un invito a un contatto più intimo e immediato con le cose e a una piena accettazione della vita. Oltre le pretese di comprensione. Del resto, anche il protagonista di What Does that Natura Say to You è un poeta. O almeno, a trentacinque anni, coltiva il desiderio di diventarlo. E nonostante possa mancare di ogni tecnica e talento, come sentenzia senza mezzi termini la madre di Junhee, di certo ha una sensibilità spiccata, contemplativa. Si inginocchia davanti a una sepoltura e riflette sulla profondità dell’amore filiale. In visita a un tempio, si incanta ad ammirare il fiume. Così come esce di notte per osservare un fiore appena sbocciato o la luna. E intanto prende appunti sul suo quaderno. È probabile che il segreto della poesia non sia in questa predisposizione, ma di sicuro c’è un che di poetico nel desiderio di semplicità del ragazzo. Una ricerca di purezza, “voglio vivere solo di quello di cui ho bisogno”, che però è destinata a entrare in conflitto con la visione più pragmatica degli altri. È nella natura delle cose. Il gentile, ma goffo modo di fare di Donghwa finisce sempre per generare irritazione, incomprensione o perplessità. Finché, arrivato alla fine di questa “bella”, tranquilla giornata di presentazioni in famiglia, dopo molti bicchieri di makgeolli o di whisky, esploderà nell’imbarazzo generale.

Hong Sang-soo ha raccontato innumerevoli volte queste cose. Personaggi che coltivano un’aspirazione artistica, ma che devono fare i conti con la misura delle capacità o gli inciampi della vita. Quest’eterno girare a vuoto, che va al di là della contingente mancanza di obiettivi concreti, per diventare una condizione universale di continue ripetizioni e sottili variazioni. I soliti, lunghissimi, momenti conviviali con l’alcool che sale e che manda fuori controllo le reazioni. E poi, questa sottile, generale sensazione di distanza, di incomprensione. Qui persino i discorsi tendono a ripetersi, a duplicare affermazioni che, per lo più, non dicono nulla, girano intorno a un’evanescente chiacchiera di cortesia. Parole nel vuoto.

Ma, al di là delle modalità e degli schemi ormai tipizzati, è sempre più evidente come il cinema di Hong Sang-soo aspiri a quella semplicità predicata dal protagonista di What Does that Nature Say to You. La banale, ripetitiva quotidianità delle situazioni. E, soprattutto, un azzeramento della forma, ormai distillata e ridotta al minimo. Tra i pochi piani fissi, si concede una sola delle sue proverbiali zoomate… Quasi una totale rinuncia estetica, con quel digitale sgranato che tanto assomiglia al completo fuori fuoco di In Water o allo sguardo appannato di Donghwa. E che di certo non contribuisce a sottolineare le meraviglie della natura da contemplare. Eppure, su questo stile spoglio, disadorno, Hong Sang-soo costruisce le sue eleganti geometrie di rime e rovesciamenti. E arriva, come sempre, a sfiorare e suggerire qualcosa di essenziale. Che non ha la pienezza di una verità perfettamente a fuoco, riconosciuta e dichiarata. Ma piuttosto è un sentimento di precarietà, di evanescenza, di fuggevolezza. Che ammette l’eventualità di non essere colta, di rimanere distante dalla concretezza del comune buon senso.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)

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