When the Phone Rang, di Iva Radivojević

Una telefonata lacera la mente di un’undicenne producendole una spirale di memorie, ricordi e sensazioni sulla partenza dalla Jugoslavia che non c’è più. Apicale. Trieste Film Festival, Wild Roses

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BANDO CRITICA DIGITALE, chiusura anticipata al 17 febbraio!


Corso Trimestrale di Montaggio in presenza, da 19 marzo


Un venerdì alle 10:36 del mattino del 1992, l’undicenne Lana (Natalija Ilinčić) riceve una telefonata. La donna all’altro capo della cornetta cerca prima la madre e poi il padre e, una volta appurata l’assenza dei genitori, comunica freddamente alla bambina la morte del nonno. Nella mente di Lana scatta allora un impercettibile ma alienante meccanismo di dislocazione che sfalda i suoi ricordi facendoli dipendere in maniera illogica proprio dalla telefonata che cambia il suo mondo e quello di un Paese che non c’è più: la Jugoslavia… When the Phone Rang è un’indagine cerebrale ma allo stesso tempo dolcissima su una bimba che in una mattina diventa apolide sia della famiglia della sua patria. La perdita del nonno le fa infatti prendere coscienza in un’unica luttuosa epifania della guerra fratricida in atto da anni che si concretizzerà nella fuga da casa ed il definitivo crollo delle sue certezze infantili. Alla dolorosa ricerca dell’origine di questo male per lei inesplicabile e ottundente, Lana non può far altro che ricondurre psicologicamente il suo dramma ad un’unica causa, ovvero quella maledetta telefonata che ritorna per ben dieci volte nel lungometraggio a marcare la spirale mnemonica che avvolge la sua mente confusa ed in fuga. In questo suo terzo lungometraggio la regista Iva Radivojević fa un bellissimo lavoro di sottrazione lasciando il contesto socio-politico sullo sfondo – d’altronde, cosa può sapere una bambina delle tensioni etniche quando nemmeno i popoli dei Balcani ne sono riusciti a venire a capo in decenni di lotte? – e seguendo, piuttosto, intimamente il flusso di sensazioni della sua piccola protagonista.

Il passato si frammenta in una serie di schegge all’apparenza vacue – un taglio di capelli non apprezzato, il pedinamento dei vicini con un amico, le videocassette porno del padre consegnate per sbaglio al negozio – che convivono con lacerti più significativi – il karaoke con l’inquilino punk-rocker che sniffa colla, l’addio alle amiche Mirjana e Olja e l’amore omosessuale per Andrijana. When the Phone Rang attraverso il nebbioso girovagare tra i meandri psichici della sua protagonista fa di questa acerba storia un tassello personale ma importante della Storia di una penisola che, aforisticamente, ne produce più di quanta ne possa digerire. La condanna dell’eterno ritorno di Lana al suo trauma richiama allora quello dello Jugoslavia e apparenta lo sradicamento della bambina al similare spaesamento vissuto da popoli la cui nazionalità è stata definita da congressi esterni. Iva Radivojević non ha bisogno di esplicare però il suo ragionamento e lascia che anche l’ignota voce-off che accompagna il film, pur consapevole come un deus ex machina, non intervenga mai ad incasellare gli eventi in una cornice più sistematizzata. Girato in 4:3 e con un 16mm volutamente analogico, When the Phone Rang assume quindi le fattezze di uno strambo ma a volte struggente filmino amatoriale che costringe lo spettatore a misurarsi con le conseguenze di uno shock, politico e conseguentemente personale, che continua a squillare senza requie fino a quando non ci si ferma a rispondere individualmente e collettivamente


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