When there is no more music to write, and other romance stories, di Éric Baudelaire

Un’opera dialettica che lega politica ed arte, con un uso sperimentale e avanguardista del montaggio. Un filo semrba collegare il rapimento di Aldo Moro alla musica sperimentale di Alvin Curran

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Éric Baudelaire ritorna per la quarta volta fuori concorso al Filmmaker festival di Milano con un’opera che l’ha impegnato per quattro lunghi anni tra Stati Uniti ed Europa. Il regista di Salt Lake City, attraverso l’uso di un montaggio discontinuo, che rifiuta i canoni del decoupage classico, congiunge il rapimento di Aldo Moro con l’opera di Alvin Curran, grande compositore e figura centrale nella musica contemporanea.

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When there is no more music to write, and other romance stories riflette su una precisa stagione storica sociale (1968-1978), intersecando liberamente storia, politica ed arte. Ma la dialettica affrontata per queste, che sono a tutti gli effetti, creazioni dell’uomo, colpisce trasversalmente anche gli stessi esseri umani di passato e presente accomunati dall’indomito desiderio di libertà che risiede in ciascuno di noi. Ed è proprio attorno al concetto di libertà che Baudelaire realizza la sua contorta ma estremamente interessante opera. Si procede seguendo un montaggio avanguardistico, che rifiuta di adottare una qualsivoglia coerenza narrativa. Come ogni dialogo che si rispetti, Baudelaire gira un campo e un controcampo all’interno del film stesso, dividendolo in due parti. La prima, Quattro gomme a terra, in cui vengono raccolte le testimonianze di tre protagonisti del celeberrimo rapimento di Aldo Moro: il fioraio di via Fani a cui le BR bucarono le ruote del furgoncino e due brigatiste che parteciparono al piano e alla sua esecuzione. La seconda, nella quale la voce del compositore Alvin Curran racconta di come, dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, i nuovi movimenti avanguardisti reagirono attraverso l’arte, creando opere sperimentali che sapessero rappresentare la terrificante frammentarietà a cui era condannato il genere umano.

“There is no more music to write”

Questa frase, che Curran pronuncia più volte durante la pellicola, da mera constatazione di un mondo in cui si è già pensato e realizzato qualsiasi cosa, acquista sempre di più i connotati di un urlo liberatorio. La presa di coscienza del fatto che non c’è più musica da scrivere, spalanca le porte della sperimentazione artistica che permette alla musica stessa di rigenerarsi, risorgendo dalle proprie ceneri e avendo nella rottura delle gerarchie la propria forza trainante. Ciò che si è detto per la musica si collega in maniera imprescindibile anche al cinema, strumento individuato e utilizzato con grande accuratezza da uno scienziato politico come Baudelaire per esprimere la propria sete di libertà, denunciando un mondo sempre più omologato e tendente a rimanere incastrato nel proprio status quo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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