Whitney: una voce diventata leggenda, di Kasi Lemmons

Dallo stesso autore di Bohemian Rhapsody e La teoria del tutto, un biopic, con Naomi Ackie nei panni della Houston, che tradisce il logorio della formula con la quale vengono costruiti.

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Anthony McCarten, sceneggiatore e produttore di Whitney: una voce diventata leggenda apre i battenti della sua fabbrica di biopic nel 2014. E non è un’apertura a caso. Esce infatti La teoria del tutto, che conquista un grandi risultati al botteghino e ben 5 premi Oscar, tra cui quello per la miglior sceneggiatura originale. Da quel momento il modus operandi era stabilito: acquistare i diritti della vita di una persona famosa per poi realizzarne un film con un grande attore/attrice e una trama che scava (o almeno, così si vende) nell’intimo del personaggio, ma che spesso non riesce ad andare oltre una riproposizione di fatti più o meno già noti. Secondo questa formula si dispiega la sequenza, iniziata col già citato biopic su Stephen Hawking e proseguita con L’ora più buia, Bohemian Rapsody, I due papi e, infine, Whitney.

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A portare in scena Whitney Houston ci pensa Naomi Ackie, giovane attrice già vista nel ruolo di Jannah in Star Wars: the Rise of Skywalker e che vedremo nel prossimo film di fantascienza di Bong Joon-ho Mickey17, mentre alla regia troviamo Kasi Lemmons. Una scelta che vorrebbe seguire una logica di riappropriazione: affidare a una regista afroamericana e già impegnata nell’adattamento black di generi come il musical (Black Nativity) e western (Harriet) la storia della “prima nera a piacere ai bianchi”, circostanza che la cantante è arrivata a subire durante la sua carriera (tanto da esser soprannominata “Oreo”). Una scelta, forse, coerente ma che consegna il film a una regia senza il polso di cineasticome Marsh, Wright o Singer. Se poi anche la formula comincia a mostrare segni di usura, la frittata è fatta.

Whitney: una voce diventata leggenda segue la cantante dagli inizi come giovane e predestinata (Dionne Warwick era sua cugina e Aretha Franklin la sua madrina) corista per la madre Cissy fino all’ultima esibizione dei Grammy del 2011. Il racconto riesce nell’arduo e paradossale compito di essere lineare e allo stesso tempo frammentato. Gli episodi della vita di Whitney Houston, ognuno introdotto da una didascalia che ne indica l’anno dello svolgimento, si susseguono senza soluzione di continuità. Questo comporta una rottura nella progressione dei personaggi e una costruzione fatta di scene che vorrebbero essere madri, ma che al massimo cercano di essere prime donne, tasselli il cui splendore dipende interamente dagli attori (tra i quali vanno ricordati almeno Stanley Tucci, Tamara Tunie e Clarke Peters) e che non formano mai un’unica immagine.

Sorprendente, in negativo, anche scelta di non utilizzare mai materiale d’archivio, ricreando tutte le apparizioni televisive ed esibizioni pubbliche, mostrando una mancanza di elasticità al limite dell’idiotismo. Quando poi la messa in scena ci porta sul palco accanto a Whitney Houston, senza però il gusto di essere coinvolti, senza permetterci di ballare con lei, sorge perfino un forte dubbio sulla necessità stessa di queste due ore e mezza. Perché alla fine Whitney: una voce diventata leggenda dà l’impressione di non aver nulla da dire oltre la superficie dell’immagine, a parte una richiesta di tornare a sentire la sua musica, invito che si può accettare anche facendosi un giro su YouTube.

Titolo originale: Whitney Houston: I Wanna Dance with Somebody
Regia: Kasi Lemmons
Interpreti: Naomi Ackie, Clarke Peters, Stanley Tucci, Tamara Tunie, Ashton Sanders, Nafessa Williams, Daniel Washington, Bailee Lopes, Bria Danielle Singleton, JaQuan Malik Jones
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 146′
Origine:
USA, 2022

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.5
Sending
Il voto dei lettori
2.79 (24 voti)
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