Why Does the Sea Laugh?, di Aude Fourel

All’OTRFF un film tra videoarte e documentario, che cerca nei canti della Rivoluzione d’Indipendenza algerina le rimembranze di un sentimento di resistenza. Al cinema Detour l’8 aprile

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I primi tre minuti di Why does the Sea Laugh? sono laconici nel dire al suo spettatore con che lente deve inquadrare i suoi successivi 55 minuti. Un’inquadratura fissa, ma allo stesso tempo resa mobile dallo spostamento della nave a bordo della quale si trova la macchina da presa. Nessuna musica, nessun commento che non siano le onde nere puntellate di schiuma bianca accompagnano l’imbarcazione all’uscita del porto. “Se potessi viaggiare con le rondini, E volare notte e giorno, Se potessi essere il vento, E andare nel paese dei miei antenati”, è il canto che precede le figure umane che sono sulla nave. Una donna e un uomo algerini, la prima accasciata su una balaustra e l’altro con lo sguardo fisso verso l’orizzonte. Il colore irrompe con il rosso di un muro di una città algerina, per poi danzare sotto forma di hijab nel tripudio di un mercato.

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È qui che parte il percorso alla ricerca di tracce di immaginario legate alla Rivoluzione d’Indipendenza algerina degli anni ’60. La stella polare è stata segnata già dai primi minuti del film: il canto. Nelle interviste che fungono da testimonianze, non a caso vocali, il canto è più di una sopravvivenza di quel sentimento di indipendenza che guidò la rivoluzione. La reazione del corpo umano all’azione fisica, concreta del suono diventa nelle speranze della regista Aude Fourel l’inoculo più efficace per quel sentimento combattivo di resistenza. L’immagine in questo senso viene condotta in territori fertili per far sbocciare dalla visioni altre sensazioni, in particolare sonore o tattili. I tempi dilatati, quando non tirano il freno a mano di un ritmo compassato, riescono ad avvolgere lo spettatore nello sfrigolio concentrico del cous cous lavorato a mano, o fargli sentire l’umidità della nebbia del mattino.

È un cinema delle cose Why does the Sea Laugh?, in cui gli esseri umani sono ormai dei fantasmi, ridotti a semplice traccia. Più vivi nelle immagini di repertorio a colori che in quelle digitali contemporanee e in bianco e nero, sono fantasmi che abitano isole di tempo sulle quali il film, di volta in volta, approda. Una delle prime e più importanti delle quali è quella relativa ai Cantacronache, collettivo anarchico dalle cui ceneri Michele Straniero e Fausto Amodei fecero nascere il Nuovo Canzoniere Italiano. La pubblicazione del 1963 di Canti della Rivoluzione Algerina fu non solo un modo di sostenere la battaglia per l’indipendenza, aggirando con il titolo in italiano la censura, ma anche un’opera di fissaggio nella memoria. Con le sue reminiscenze del passato e il recupero dei canti si crea una strana risonanza tra il disco e Why does the Sea Laugh?, che sa di malinconia.

A chiedersi perché il mare ride è l’ultima canzone, a proposito della quale una voce nota come ci sia della tenacia in come il mare rimanga sempre lì. Eppure, sopra quest’ultimo commento, che per la maggior parte si adagia su un campo lungo di una contadina che lavora la terra, irrompono allora delle rovine che inquadrano una strada affollata contemporanea. Le immagini che seguono compongono un ultimo cluster visivo in cui si sviluppa l’urto di formati e architetture dentro le quali gli umani sembrano dei naufraghi, ognuno impegnato nella sua personale deriva. Che non rimanga da far altro che cantare della corrente?

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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