Wicked Games Rimini Sparta, di Ulrich Seidl

Nella sezione Harbour di Rotterdam l’ultimo film del regista austriaco, la storia di due fratelli ed un padre anziano, che per le tematiche che affronta è destinato a sollevare immancabili polemiche

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Il cinema di Seidl va avanti senza troppe variazioni. Coercitivo, rigoroso e straziante. Quello presentato all’IFFR 2023 è un montaggio alternato degli ultimi due film, investiti da un seguito di polemiche e accuse durante le riprese di Sparta, smentite categoricamente, sulle condizioni di lavoro durante le riprese, che hanno comportato l’estromissione all’ultimo momento dalla selezione di Toronto, e l’annullamento del premio Douglas Sirk che gli era stato assegnato ad Amburgo. Non un grande biglietto da visita. La ristrutturazione combinata trova significato nell’essere già realizzata come un dittico familiare su Richie Bravo, protagonista di Rimini presentato a Berlino, e suo fratello Ewald. Favoleggiare di un mondo «altro» da questo non ha alcun senso, qualora non prevalga in noi un istinto di denigrazione, svilimento, diffidenza verso la vita, Seidl sembra quasi interpretare alla lettera il pensiero di Nietzsche e si serve di ogni dettaglio per mostrare disprezzo verso il genere umano. Non tende ad una rinascita a differenza del pensatore tedesco, ma resta interessato al disintegrato, al malessere, ai sintomi di una degenerazione in atto. Rimini è la storia di un cantante giunto al capolinea, ormai ridotto ad esibirsi davanti a delle platee semivuote di anziane turiste in Romagna e che si porta a letto in cambio di soldi, una vicenda non molto diversa da quella narrata in Paradise: Love. Un’immagine di tristezza e squallore. Richie ha anche una figlia, abbandonata da piccola, tornata per estorcergli del denaro. Insomma una versione trucida di The Wrestler, con Michael Thomas ridotto ad una copia melodica perversa di Mickey Rourke dalle movenze presleyane e lo stesso stordimento alcolico, dentro un quadro di solitudine esasperata da una fotografia di ghiaccio delle spiagge imbiancate, un’atmosfera spettrale tra le quali si trova a vagare alla stregua di un fantasma.

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Scegliere le parole per descrivere Sparta, tratto da una storia vera, è più complicato, e non stupiscono affatto le censure ed i distanziamenti vista la delicatezza del tema affrontato, cioè la pedofilia. Ewald ha un lavoro come tecnico industriale, ha una fidanzata, eppure un demone lo scuote dentro, una perversione, un impulso tremendo, tanto potente da fargli abbandonare tutto per andare in una parte rurale della Romania, colpita da povertà endemica. Dove per soddisfare le sue abiette pulsioni apre una scuola di judo chiamata appunto “Sparta” per raccogliere i ragazzini della zona e trasformarli in soldati. A fare da trait d’union alle storie è il decrepito padre, chiuso, si direbbe prigioniero, in una residenza per anziani, ormai in un lugubre stato catatonico dal quale viene destato soltanto nel ricordo della sua fede nazista, circondato da flebo, malattia e sedie a rotelle. Seidl conferma l’enorme talento visivo ed un’incredibile capacità di comporre le inquadrature, conosce quindi benissimo il mestiere. Ciononostante getta sul mondo uno sguardo mortifero, obnubilato da tradimenti, sfiducia, e nei vizi della società occidentale vede solo l’ingresso dell’inferno cui possono ambire le persone in cerca di fortuna. Non ci può essere salvezza in questa vita e gli eroi diventano fantocci mitici nelle mani dei fanatici, tutti toccati dalla sventura di un peccato capitale, tutti nemici e tutti rassegnati ad agire per interesse. L’amore non è previsto o è in vendita per qualche centinaio di euro, utili per rimediare un bicchiere. Un cinema che vede crepe ovunque e non riesce ad avere uno sguardo diverso dall’orrore, con trame e contesti plausibili. Maledetti e disumani, buoni per provare disgusto e sfiducia.

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