Wroclaw e il New Horizons International Film Festival 2021

Il New Horizons International Film Festival, tenutosi nella bella città di Wroclaw, riesce a mettere in moto un insieme di suggestioni: ecco un percorso tra le nostre visioni nella kermesse polacca

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Il New Horizons International Film Festival si è tenuto ad agosto, nella bella città di Wroclaw, situata nel Sud Ovest della Polonia. Wroclaw si affaccia sul fiume Oder, ai cui argini fioccano chioschi e piccoli locali, animati da lucine che ogni sera scaldano le notti estive. Le influenze tedesche nella città sono evidenti, soprattutto per quel che riguarda l’architettura: Wroclaw infatti è stata parte del Regno di Prussia dal 1741 al 1918, dal 1919 al 1933 della Repubblica di Weimar e infine sotto il dominio della Germania nazista che ne ha detenuto il controllo fino al 1945. Un passato alquanto faticoso, come quello della Polonia tutta. Ma Kuba, un ragazzo che conosco al festival, mi dice che delle città polacche Wroclaw è stata la meno bombardata e mi consiglia i luoghi da visitare: la piazza del Mercato circondata da palazzi colorati (nella quale spicca il maxischermo per la parte del festival all’aperto), le belle sinagoghe, il cimitero ebraico Żydowski, i bar e i café. Camminando per la città inoltre si possono scorgere ad ogni angolo della strada piccoli gnomi di bronzo, rame e plastica, ognuno occupato in diverse attività. Se ne contano più di 400 ed esistono delle mappe per scovarli tutti. L’origine di questi gnomi mi spiega Kuba, risale al movimento anti-governo Alternativa Arancione, sorto a Wroclaw negli anni 80. I componenti del movimento disegnavano sui muri della città gnomi col cappello arancione, a scopo puramente satirico.

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Oltre ad essere la città degli gnomi, Wroclaw è considerata la capitale della cultura in Polonia, famosa per i suoi eventi, per i suoi teatri, per le gallerie e per i suoi cinema. Come appunto il Kino Nowe Horizonty, situato in pieno centro, all’interno del quale si tiene il festival, frequentato per lo più da giovanissimi che chiacchierano al bar o sostano nella bella libreria situata al pian terreno, prima di entrare in sala per godere della programmazione.

Wroclaw è senza dubbio una città in pieno fermento, ed è affascinante anche e soprattutto per una nota che risuona all’ultimo, un sottofondo malinconico che corre per le vie. La regista polacca Jagoda Szelc, presente al New Orizons con il film Monument, parla di un trascinato senso di vergogna e al contempo di un ruggente bisogno di rivalsa, dati da un passato di guerre, invasioni e sofferenze. Monument è un film realizzato con gli studenti diplomandi della scuola di cinema di Wroclaw e Jagoda ci racconta che è nato dalle testimonianze dei ragazzi relative a episodi di violenza subiti ai tempi del liceo. Il film poi prende spunto da un episodio realmente accaduto, quello dell’incidente di un pullman di studenti diretti ad una gita scolastica. Un film in cui quella nota triste di cui sopra risuona amplificata, e le immagini sono bagnate di una luce verde del tutto privo di speranza. Di fatto Monument parla di morte e tenta di ripercorrere, attraverso le immagini e i suoni, il processo di putrefazione dei corpi. Ed è proprio in queste immagini e con questi suoni (entrambi dagli evidenti richiami fincheriani) che vibra quel senso di vergogna e di rivalsa di cui parla la Szelc, e che la gioventù polacca, come accade in ogni paese, non può non aver ereditato. E attraverso le coreografie e le performance (tipiche di un certo cinema del nord Europa che applica le performance del teatro e della danza al cinema) Monument si pone come film di espiazione, una pratica volta a liberare dal proprio passato sì i singoli studenti, ma anche e soprattutto la gioventù tutta da un’eredità ineluttabile.


Dal peso del passato si passa a quello della contemporaneità, che grava sulle spalle di Gritt, protagonista dell’omonimo film della regista norvegese
Itonje Søimer Guttormsen, presentato allo scorso festival di Rotterdam e riproposto al New Orizons. Gritt è un film sul rumore assordante del chiacchiericcio contemporaneo, e sulla necessità di trovare una fede, una guida per affrontare questa inedita mancanza di appigli, in un mondo che sembra, paradossalmente, offrirtene a migliaia. La Guttormsen racconta tutto questo attraverso la sua incredibile protagonista, l’attrice Birgitte Larsen e lo fa usando i toni di una commedia disillusa, cinica, divertente quanto estremamente dolorosa. Gritt cerca una fede per sopravvivere, qualcosa in cui credere. C’è il teatro, ci sono le performance,  i gruppi di femministe devote alla dea Lilith e la causa dei rifugiati, il problema del cambiamento climatico da combattere, il benessere ossessivo del corpo, la salvezza nei rimedi sbrigativi di una certa psichiatria. E ancora, la fede nella felicità famigliare sempre più legata al consumo e all’accumulo, laddove il capitalismo spicca come credo imprescindibile. É una strana, assurda commedia Gritt, storia di una ragazza perduta incapace di creare profitto, di inserirsi nella fagocitante macchina produttiva. Ecco che Gritt risulta essere quindi un’opera urgentissima, necessaria, poiché riesce a calmarci attenuando il caos che abbiamo dentro, alimentato da questa assurda fase di transito del mondo, groviglio di input da sbrogliare.

Come ogni buon festival che si rispetti insomma, il New Horizons ragiona attraverso la sua programmazione sulla contemporaneità, analizzando le questioni del momento. E tornando a Gritt c’è anche la questione del patriarcato da distruggere, del peso di una visione maschile dominante, e di tutto il rumore, sacrosanto, che la battaglia sull’uguaglianza di genere sta producendo. Così se il capo di Gritt applica continuamente la pratica del mansplaining (atteggiamento paternalistico di alcuni uomini quando spiegano qualcosa ad una donna) nel bel film Death Of A Virgin And The Sin Of Not Living, George Peter Barbari opera il fondamentale discorso che vede la necessità di ripensare da capo anche il ruolo dell’uomo, per ridisegnare quello della donna. In Death Of A Virgin And The Sin Of Not Living, presentato alla Berlinale 2021, Barbari racconta la storia (che parte da un episodio autobiografico) della gita di quattro ragazzi libanesi, che per diventare uomini veri, si recano da una prostituta a perdere la verginità. Il regista segue dunque passo passo la giornata di questi ragazzi, li riprende da dietro in lunghi piani sequenza, ne ascolta i discorsi adolescenziali, intramezzando la narrazione principale con monologhi interiori, con  pensieri sulla vita che li attende e sulla morte che faranno. Pensieri profetici dunque, non a caso il film si apre con una citazione del poeta-profeta Khalil Gibran. Così attraverso un film dai toni caldi, che sembra davvero procedere in versi, Barbari ragiona sul concetto e sul significato di virilità, e sulla necessità di ripensarlo da capo, partendo dal rapporto con la sessualità ma anche e soprattutto con l’emotività.

Tante le suggestioni messe in moto dal New Horizons. Tanti anche i film presi dal Festival di Cannes, disponibili a ogni ora del giorno. Questo festival di Wroclaw insomma, sembra suggerire che quel senso di rabbiosa rivalsa di cui parla Jagoda si stia mettendo in atto soprattutto attraverso la cultura, e qui nello specifico attraverso il cinema, che chissà che non possa essere una fede (svuotata da ogni sfumatura dogmatica), come quella di cui la povera Gritt è alla continua ricerca.

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