X FACTOR 2013 – Spirito e virtù
La semifinale conferma il logorio di questa edizione british, che perde in umanità ciò che ha acquistato in professionalità. Manca quell'artigianalità che è un po' l'essenza del made in Italy e di cui continuiamo a vergognarci. In un sogno esterofilo interrotto solo dalla sana imperfezione del romanzo d'appendice Morgan-Asia e dai primi piani godardiani dell'attrice
E gli esami sono andati lisci come l'olio, fin troppo "nelle previsioni", come in quelle interrogazioni programmate, in cui svogliati e impigriti professori non fanno che confermare la prima impressione avuta dell'allievo il primo giorno dell'anno.
Così, alla prova degli inediti, i primi della classe Violetta e Michele passano a pieni voti, seppure con canzonette improbabili la prima (che si ritrova un testo assolutamente dimenticabile fatto entrare a forza su un classico brano country) o interpretazioni discutibili l'altro, (che esegue il testo di Tiziano Ferro senza i crescendo che fanno la forza dell'originale).
Mentre se ne torna a casa il silenzioso Andrea, talento nascosto che X Factor sembra non aver avuto il tempo e la voglia di scoprire davvero. Forse era troppo silenzioso, troppo poco "tesorino", troppo poco "imitatore" e la carta della simpatia campana era stata già giocata dagli Ape Escape. Fatto sta che è stato sacrificato quello partito in sordina, privilegiando chi aveva tutti otto nel primo quadrimestre e non il lavoro, la fatica di chi si è costruito pian piano.
Già, la prima impressione. Come-a-scuola: una legge tanto incontrovertibile che Max Pezzali ci scriverebbe una canzone sulla scia di altri assiomi come La dura legge del gol o La regola dell'amico, che ci si ritrova a citare ogni volta che un nostro conoscente prende l'ennesimo due di picche. La prevedibilità è del resto la cifra stilistica di queste edizioni targate Sky, da cui ogni elmento incontrollabile (vedere lo sfogo di Arisa dopo l'eliminazione dei suoi pupilli Frères Chaos…) viene prontamente espulso, in favore di una sobrietà molto britannica, dove tutto è calcolato, dai tempi dei commenti alle mancate risposte dei talenti che devono soltanto annuire sussiegosi, alle performance degli ospiti, talmente piatte e virtuali che tanto converebbe collegare sul maxischermo un video di Youtube.
Alla lunga il meccanismo si logora perdendo in umanità ciò che ha acquistato in professionalità. Dalle scenografie di Luca Tommassini, forse meno amatoriali ma anche meno estrose, appiattite sui led e sui fasci di luce, con progressiva scomparsa degli accessori di scena, ossia dell'elemento artigianale, analogamente a quanto accade per estensione in tutto il programma. Manca insomma a questo X Factor robotico – e ai suoi talenti – quell'artigianalità che è un po' l'essenza del made in Italy e di cui il nostro Paese continua inspiegabilmente a vergognarsi. Credendo che l'erba del vicino sia sempre più verde, in un sogno esterofilo dalla fede incrollabile anche quando si ha concretamente la prova del suo fallimento.
Ma, a parte Elio, come al solito non pervenuto e rimasto probabilmente l'unico accessorio di scena di Tommassini, il parente figo che viene dall'estero è stato letteralmente eclissato sia dal cugino brianzolo Morgan, che l'ha surclassato con proposte musicali certamente più raffinate e adatte a mettere in luce i suoi cantanti, sia dalla ruspante Ventura che non si è fatta sfuggire l'occasione di sfottere un po' la celebrity: "Ma sempre solo eri da piccolo?", con una piccola rivalsa personale verso lo snobismo delle star inglesi (vedere lo scherzo dei Muse a Quelli che il calcio).
Quindi, orfani delle infinite schermaglie tra i giudici, ma anche dell'aspetto reality del programma, paradossale considerata la moltiplicazione dei mezzi, ma affatto sorprendente tenuto conto della stardadizzazione, del controllo maniacale dei contenuti della nuova gestione, dove trovare un po' di sana imperfezione? E' Morgan, ancora una volta, a salvare lo spettacolo: continuando a portare avanti questo infinito romanzo d'appendice con la sua ex ma sempre amata Asia, con la regia a indugiare in un primo piano assorto come quello della Giovanna d'Arco di Falconetti o rapito dallo schermo come la Nanà di Vivre sa vie mentre lui canta nella nuova Spirito e virtù "Questa mia era una vita che sembrava smarrita, per quanto maledetta romantica e perfetta e fallita".