X-Men – Dark Phoenix, di Simon Kinberg

Dark Phoenix concede una seconda chance a Simon Kinberg, che passa anche alla regia. La continuity trionfa sulla regia? La sensazione è che il film sia troppo preoccupato della confluenza nel MCU

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Dark Phoenix non è il remake dell’epopea di Jean Grey, che era già stata al centro di X-Men: The Last Stand (2006). È difficile anche definirlo un reboot, visto che la trilogia iniziale è stata resettata ma non è mai stata cancellata. L’incredibile snap narrativo di X-Men: Days of Future Past (2014) ha modificato il corso della guerra tra umani e mutanti e ha creato il primo multiverso dei superhero-movies. In questo modo, Simon Kinberg ha potuto scrivere di nuovo l’adattamento di una delle miniserie più celebrate della storia del fumetto.

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I fan non avevano apprezzato il suo primo tentativo anche perché era stato affrontato in un contesto ingolfato di forti relazioni pregresse tra i personaggi. Dark Phoenix esce in un momento in cui i dubbi sulla sorte produttiva del franchise superano il suo valore attuale. Ogni opzione del film viene osservata nella prospettiva di una possibile confluenza nel MCU. Così, la scelta di affidare anche la regia allo sceneggiatore può essere letta come un evidente cambio di gerarchia. La continuity complessiva e il suo sviluppo trasversale trionfano sul film autoconclusivo?

Il ciclo degli X-Men è sempre stato meno malleabile rispetto a quello parallelo degli Avengers. I film di Wolverine hanno guadagnato una personalità precisa ed indipendente dietro la firma di James Mangold. Le mani di Bryan Singer e di Matthew Vaughn non sono mai state anonime e hanno precluso un orizzonte uniforme e riconoscibile. I diversi capitoli sono ancora dei lungometraggi e come tali corrono il “rischio” di essere fatti bene o fatti male. 

In questo senso, Dark Phoenix tenta di cambiare l’approccio in corsa e di aggrapparsi al salvagente della serialità. Tuttavia, lo sforzo di Simon Kinberg di rafforzare la saga attraverso una solida struttura di richiami al passato e di anticipazioni del futuro arriva fuori tempo massimo. Fenice è un’eroina onnipotente che arriva irrimediabilmente dopo Captain Marvel (2019) e appare già inflazionata. Il film conserva ancora una mentalità cinematografica ma allo stesso tempo lamenta l’assenza di personalità nella messa in scena.

Purtroppo, la regia non è neutra per motivi di funzionalità ma è semplicemente piatta. Le scene d’azione hanno uno sviluppo di routine e mancano di spunti originali. Un cast pieno di star non mostra una grande sintonia e non sente di far parte di una famiglia. Eppure, gli X-Men hanno creato i conflitti di base di tutto il genere e li hanno trasportati nello scenario più esteso della Storia.

La civil war tra Xavier e Magneto si consumava all’interno della escalation nucleare tra USA e URSS. La natura salvifica o distruttiva dei mutanti avrebbe determinato il futuro dell’umanità. Eppure, la lotta tra le loro visioni diverse non ha mai toccato le vette di quella tra Iron Man e Captain America. Semplicemente, gli spettatori non hanno mai empatizzato più di tanto con le loro ragioni e i loro valori. Simon Kinberg si gioca la carta del colpo di scena sacrificale a metà film ma l’effetto della morte illustre non è comparabile a quello di Infinity War e di Endgame.

La sceneggiatura cerca di collocarsi nella nuova generazione dei film più maturi della Marvel ed è impossibile pensare a Jean Grey senza chiamare in causa le nuove istanze del metoo. Il personaggio femminile degli X-Men è sempre stato Mystique ma la mutaforma non si è mai liberata da Xavier e da Magneto. La donna non si è mai emancipata dal ruolo della sorella e dell’amante e ha aderito in tempi diversi alle fazioni dei due contendenti sempre come strumento. Fenice scopre di avere un potere illimitato e non può più essere sottomessa con la mente o con la forza da nessuno dei due. Xavier prova a manipolarla con la telepatia e Magneto tenta di ucciderla ed entrambi falliscono nell’impresa.

La ragazza deve imparare a gestire la sua natura cosmica in modo indipendente ma la sua

riluttanza all’autorità la costringe anche a convivere con il trauma del lutto. La sua formazione viene deviata da un alieno che significativamente ha le fattezze di una donna asessuata. L’entità la seduce mostrandole i vantaggi di sottomettere una civiltà che l’ha sempre ingabbiata per usarla. Tuttavia, l’operazione non sembra altro che un’astuzia per variare una storia già raccontata. È solo questo il motivo del suo appeal latente o è anche una questione di ritardo rispetto ad eroine epigone come Wonder Woman o Captain Marvel? Oppure, la struttura del film non è in grado di sostenere la tragedia di Fenice in modo adeguato?

Forse, Dark Phoenix è soverchiato da una curiosità che esula dalle sue intenzioni ma che inevitabilmente lo condiziona. In qualche modo, è lo stesso film che sente di avere le ore contate e prova a resistere ad un destino ineluttabile. L’acquisizione della Fox da parte della Disney non abbandona mai la fantasia dei moviegoers. L’operazione è il tassello definitivo per mettere sotto un’unica mente creativa tutti i personaggi della Marvel. La domanda a cui nessuno si può sottrarre resta senza risposta: che cosa ne sarà degli X-Men? Forse, resterà solo lo splendido tema musicale di Hans Zimmer, con le sue sfumature solenni e vagamente dark. Kevin Feige vuole mettere ordine anche sul loro materiale per farli confluire nel MCU?

Il film non riesce ad evitare questa pressione e si affretta per decidere il finale alle sue condizioni. Come se percepisse che presto qualcun altro avrebbe comunque terminato il ciclo. Così, la saga scritta da Chris Claremont e disegnata da John Byrne non ha ancora una trasposizione alla sua altezza. La maledizione di Dark Phoenix ha colpito ancora una volta e forse solo l’autorità della Marvel riuscirà a spezzarla.

 

Titolo originale: X-Men – Dark Phoenix

Regia: Simon Kinberg

Interpreti: Sophie Turner, James McAvoy, Michael Fassbender, Jessica Chastain, Jennifer Lawrence, Nicholas Hoult

Origine: USA, 2019

Distribuzione: Walt Disney

Durata: 114’

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