XI FESTIVAL DEL CINEMA EUROPEO – Il coraggio delle scelte e la malinconia del vivere

Desperados on the Block
In bilico fra tradizione e modernità, la manifestazione leccese è giunta all’undicesima edizione, caratterizzata dalla traccia ormai consueta sul peso del vivere in un continente in crisi, fra una selezione ufficiale che rivela una certa standardizzazione e una ricerca di opere curiose e sensibili che pure testimoniano una coerenza ancora forte

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Desperados on the BlockC’è una storia che ogni edizione del festival del Cinema Europeo sta scrivendo ed è quella di un continente in crisi: lo ripetiamo già da molti anni, ma la traccia della malinconia per una felicità irraggiungibile è da sempre quella che tiene insieme i titoli del Concorso Lungometraggi e spesso finisce per contaminare naturalmente anche le retrospettive. L’edizione numero 11, da poco conclusa, ha confermato questa linea guida impressa al programma dal direttore Alberto La Monica di concerto con il suo staff: lo ha fatto innanzitutto con gli omaggi dedicati rispettivamente a Carlo Verdone e a Yilmaz Guney, il secondo in particolar modo prezioso per la riscoperta di un nome dimenticato, al quale il pubblico ha risposto con sincero entusiasmo. Un buon segno: se esiste infatti un cinema che ancora riesce a stare nella nostra contemporaneità raccontandoci la quotidiana fatica del vivere, prigionieri come siamo di convenzioni e di una visione del mondo passatista è proprio quello di Guney, e fa piacere che gli spettatori se ne siano resi conto.

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Certo, il gioco è rischioso: una manifestazione come quella salentina, che punta chiaramente a consolidare e ampliare lo spazio che si è ritagliata nel corso di un decennio, deve inevitabilmente stare sempre attenta a coniugare fruibilità per il grande pubblico con una freschezza e una sincerità che permetta alla selezione dei lunghi in concorso di proseguire nel ciclo virtuoso delle edizioni passate. Lo scriviamo infatti senza particolari timori: il Festival del Cinema Europeo in questi anni ci ha messo di fronte all’idea che sia possibile coniugare qualità, contenuti e visioni non compromissorie, spesso esaltanti. Le scelte non erano quasi mai apparse banali, ma sempre curiose, coraggiose, spesso estreme e sempre distanti da quella patina fintamente artistica (ma nei fatti alquanto furba e standardizzata) tipica di molte selezioni ufficiali da parte di rassegne anche più blasonate. Risultato non facile e doppiamente meritorio, laddove non si può contare sui grandi autori internazionali e si decide al contempo di incentrare la propria ricerca su nomi nuovi e cinematografie meno considerate.

InsurgéeIn ragione di ciò la flessione accusata dalla selezione lungometraggi di quest’anno desta una perplessità anche maggiore di quella che la qualità dei singoli film realmente riflette: è emersa infatti una certa inerzialità nelle scelte, la sensazione che si sia proceduto con una sistematicità un po’ asettica, privilegiando l’aspetto formativo-pedagogico (forse in virtù del rapporto con le scolaresche delle proiezioni mattutine) alla capacità di dare forma a un programma di visioni multilaterali capaci di far infiammare le immagini in corsa sullo schermo. In questo senso basterà citare l’inglese The Unloved o l’irlandese Five Minutes of Heaven (probabilmente il peggiore del lotto), ma la tendenza non ha risparmiato nemmeno i titoli che pure possedevano ottime potenzialità, come il bulgaro Crayfish o il tedesco 9:06, di Igor Sterk, pure gratificato dal premio speciale della giuria. Tutti titoli che sono parsi tasselli dello stesso mosaico, realmente poco capaci di infondere vita reale nei temi che rispettivamente trattavano e nei difficili rapporti sentimentali ed esistenziali che mettevano in scena.

Certo, dai dieci titoli, scelti in rappresentanza di varie nazioni europee da Cristina Soldano e Luigi La Monica, si possono comunque estrapolare momenti intensi e intelligenti e qualche lavoro assolutamente convincente: è il caso del vincitore dell’annata, Desperados on the Block, realizzato in Germania dal polacco Tomasz Emil Rudzik. E’ la storia di un gruppo di giovani stranieri riuniti in una Casa dello Studente, dove si dedicano alla quotidiana ricerca di un equilibrio fra tormenti d’amore, dubbi della fede e primi approcci con una realtà che avvertono inevitabilmente come differente. Rudzik dirige il suo affresco corale con sensibilità, dimostrando quel senso del rispetto per i suoi giovani protagonisti che tanto ci piacerebbe ritrovare nelle opere italiche, spesso destinate a franare in un giovanilismo di maniera ormai insopportabile. Uno sguardo altrettanto intenso lo abbiamo avvertito anche durante la visione de L’insurgée, di Laurent Perrau, che riunisce in un intrigante mescolanza di toni un racconto transgenerazionale a un dramma sportivo, a un melodramma lieve, Yo tambienconfezionando un’opera composita e anche questa dotata di forte empatia per la sua protagonista (l’ottima Pauline Etienne). E se lo spagnolo Yo, Tambien affronta il delicato tema dell’iniziazione sentimentale di un ragazzo affetto da Sindome di Down e innamorato di una collega dalla vita burrascosa con abbastanza furbizia da guadagnare il premio del pubblico, rappresenta ad ogni modo una scelta interessante, buon esempio di prodotto mainstream capace di dimostrare comunque intelligenza nel racconto.

Un’edizione dunque composita nei sentimenti che ha suscitato ed esplorato, ferma restando la traccia di ricerca sulla malinconia dell’esistere, alla quale non è sfuggita neppure l’Italia con l’interessante Due vite per caso di Alessandro Aronadio (sul quale si tornerà al momento dell’uscita in sala). Proprio la nostra nazione ha peraltro dimostrato stavolta una inaspettata voglia di sperimentare e superare le barriere dei generi tipici, raccontando il terremoto dell’Aquila con il tono di una commedia giovanile ne La città invisibile di Giuseppe Tandoi (purtroppo afflitto proprio da quel “giovanilismo” che denunciavamo poc’anzi nel nostro cinema) o con l’estremismo horror dell’ormai celeberrimo Shadow di Federico Zampaglione. Scelte che testimoniano come nonostante tutto la ricerca del Festival del Cinema Europeo continui e ci si possano aspettare dagli anni a venire nuove sorprese.

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