XII Festival del cinema africano

a Milano dal 15 al 21 marzo: anteprima di “Bamboozled-The very black show” di Spike Lee, i nuovissimi lavori di Idrissa Ouedraogo le retrospettive “Finestre sul mondo: Un posto sulla terra” e il cinema della Costa d’Avorio

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Dodicesima edizione del Festival del cinema africano di Milano (dal 15 al 21 marzo) con importanti novità. Di formato e di contenuto. Per la prima volta, e a testimonianza evidente dell’uso sempre più diffuso del video e del digitale, la sezione competitiva dei cortometraggi ospiterà lavori – della durata massima di un’ora e comunque di finzione – realizzati sia in pellicola sia in video. Mentre documentari e opere di non-fiction costituiranno il corpo del concorso video. D’altronde, il manifesto – bellissimo – dell’edizione di quest’anno, che inizierà venerdì 15 con la serata d’inaugurazione e la presentazione in anteprima italiana di “Bamboozled-The very black show” di Spike Lee, raffigura un camaleonte (uno dei simboli della tradizione africana) la cui lingua si trasforma in una pellicola di vario colore. Fin dall’affiche, dunque, il festival – diretto da Annamaria Gallone e Alessandra Speciale, con la collaborazione di Giuseppe Gariazzo e per le sezioni retrospettive di Mohamed Challouf – dichiara che è tempo di cambiamento, di ri-discutere il percorso nella fondamentale necessità di ‘essere nel presente’, cogliendone mutazioni e suggerimenti.
Novità di formato ma anche tematiche. Come suggerisce, fin dal titolo, una delle due retrospettive, “Finestre sul mondo: Un posto sulla terra”. Ovvero una trentina di opere (lunghe, corte, medie, in pellicola e video) per riflettere sulle attuali situazioni sociali e politiche in un mondo occupato dalle guerre, dove si pratica la sistematica sottrazione della terra ai popoli che la abitano (la Palestina, ma non solo, altre zone del Medio Oriente, l’Argentina e il resto del Sud America, le molte Afriche, i Balcani e le Russie…). Ecco dunque una serie di film di varia provenienza, non legati direttamente all’attualità, e per questo ancora più forti nei loro strati politici e poetici. Per ragionare su cosa significhi ‘oggi’ stare sulla terra, e dove, e come. La riflessione passa dentro e attraverso gli sguardi di autori come Pasolini, Herzog, Khleifi, Gitai, Ben Mahmoud, Gianikian e Ricci Lucchi, Ouedraogo, il rumeno Thomas Ciulei (per capire con “Asta e” cosa succede in un villaggio di campagna all’inizio di un nuovovecchissimo millennio), l’argentino Hugo Santiago (con un film del 1968, “Invasion”, scritto da Borges e Bioy Casares e rimasto praticamente inedito fino a due anni fa), il russo Artur Aristakisian con un film che sradica fictione e documentario, con gli homeless moscoviti (“Un posto sulla terra”, che dà il titolo alla rassegna).

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Il concorso lungometraggi prevede dieci titoli in rappresentanza di sei cinematografie (Senegal, Egitto, Tunisia, Sudafrica, Benin, Burkina Faso), a testimonianza che nelle varie Afriche è sempre più difficile produrre film in maniera continuativa. Tra queste opere, da segnalare, in particolare, il sudafricano “Hijack stories”, ritratto e disavventure di un giovane nero che fa l’attore a Johannesburg, diretto da Oliver Schmitz, e il senegalese “Karmen Geï” di Joseph Gaï Ramaka che rilegge il mito di Carmen tra riferimenti mélo (Fassbinder), storici (la schiavitù), e b-movie (Jonathan Demme). Presidente della giuria sarà Silvio Soldini.
Il concorso cortometraggi proporrà tredici titoli, di cui sei video. Destano curiosità “Africa paradis” di Sylvestre Amoussou (Benin-Francia), dove con satira si immagina un mondo alla rovescia con un’Europa ridotta al lastrico e un’Africa fiorente, dove ha luogo un’immigrazione al contrario, e “The ankh” di Spartacus R. (Gran Bretagna), in cui nella relazione di una coppia entrano in gioco segni di magia sotto forma di una maschera tribale, che si pongono come ‘trailer’ di possibili futuri lungometraggi. In giuria la produttrice Elisa Resegotti, lo scrittore Pap Khouma, e Mohamed Maklouf, direttore dell’Arab Screen Indipendent Film Festival del Qatar e giornalista della tv Al Jazeera.
Il concorso video offrira venti lavori di documentari (tra cui “Anna l’enchantée” della congolese Monique Mbeka Phoba e “It’s my life” del sudafricano Brian Tilley) e non-fiction (come “Stalkers” del black-british John Akomfrah, “Western 4.33” del sudafricano Aryan Kaganof, nuovo nome di un autore sperimentale già noto come Ian Kerkhof, “Pessoa em desassossego” dell’angolano Zeze Gamboa). In giuria Edoardo Bruno, direttore di Filmcritica, Stefano Francia, del gruppo di ‘Fuori orario’, e Grazia Paganelli, collaboratrice di Sentieri selvaggi, Filmcritica e Panoramiche.
E poi, fuori concorso, uno degli appuntamenti imperdibili di questa edizione, ovvero la presentazione in anteprima dei nuovissimi lavori di Idrissa Ouedraogo che, da pioniere del nuovo millennio, fa ripartire la sua filmografia da brevissime schegge video per sensibilizzare il popolo africano sul dramma dell’Aids. La serie si chiama “100 jours pour convaincre” e consta finora di una cinquantina di episodi (tutti in programma a Milano). Per fare didattica ad alto livello, per dare una forma alla didattica e costruire continui rimandi alle altre sue opere, da “Yaaba” a “Kini & Adams”.
La seconda retrospettiva sarà invece dedicata alla Costa d’Avorio, per scoprire gli autori che soprattutto fra gli anni sessanta e ottanta hanno dato a quella cinematografia opere di grande rilievo (da “A nous deux, France”, “Concerto pour un exil” e “Visages de femmes” di Desiré Ecaré a “La femme au couteau” di Timité Bassori, da “Ablakon” di Roger Mbala a “Bal poussière” di Henri Duparc, senza dimenticare un testo fondamentale come “Moi, un noir” del francese etnologo Jean Rouch).
Il Festival si svolge in quattro sale (San Fedele, De Amicis, Centrale e San Lorenzo).
(Stefano Negro)

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