Un Kammerpiel, ambientato interamente nello spazio angusto di una cantina, che vede protagonisti tre fratelli (interpretati da Fabrizio Gifuni, Barbara Bobulova e Fabrizio Rongione) che si ritrovano a festeggiare il Natale dopo dieci anni di lontananza. E' il soggetto di Fratelli di sangue, lungometraggio d'esordio presentato in anteprima nazionale al 'Sulmonacinema Film Festival' e in uscita venerdì nelle sale italiane. Abbiamo incontrato Fabrizio Gifuni e il regista Davide Sordella.

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Cosa ti ha interessato del progetto?

F.G.: Ero incuriosito dal fatto che Davide si fosse formato alla London International School di Mike Leigh. Mi stimolava confrontarmi con un metodo di lavoro diverso e sapevo che Davide e la scuola da cui veniva curavano in modo particolare il rapporto con l'attore. Questo rapporto, questo tipo di collaborazione mi sembravano un lusso irrinunciabile. E infatti i mesi di preparazione sono stati molto ricchi. Prima di Fratelli di sangue mi era capitato di provare così tanto solo durante la lavorazione di Un amore di Tavarelli.

Più dettagliatamente come è stato impostato il lavoro tra attori e regista?

F.G.: Innanzitutto abbiamo goduto di un tempo inconsueto di prove. Davide non ci ha proposto solo una sceneggiatura, ma un 'pacchetto unico' che prevedeva due mesi di prova e di ricerca dei personaggi. Cosa che capita piuttosto di rado nel modo di lavorare che abbiamo in Italia. Il film è ambientato e girato dentro una cantina, in un unico spazio dove la componente attoriale era fondamentale. Io e gli altri attori ci siamo chiusi per diverso tempo in una casa di Fossano per cercare di entrare nella storia e creare relazioni utili alla prova attoriale. In quel contesto anche i momenti sospesi e rubati al tempo si sono alla fine rivelati utili per un apporto di improvvisazione.

D.S.: Inizialmente la sceneggiatura era stata scritta in inglese per attori inglesi. Successivamente il mio tutor mi ha fatto notare che i temi toccati da questo mio racconto erano talmente legati all'Italia da convincermi a tornare e a realizzare il film qui. Dopo molti anni passati a lavorare all'estero, era per me addirittura la prima volta che giravo in italiano e questo alla fine mi ha facilitato molto.

Che tipo di legame vorresti che si instaurasse tra questo film e il pubblico?

F.G.: Mi piacerebbe che il pubblico venisse ad assistere a una storia che ci riguarda molto più da vicino di quanto si creda. Fratelli di sangue ha elementi fortemente italiani. E' soprattutto un film sulla famiglia, sull'amore e odio che essa coagula continuamente, e si sa quanto questi temi siano importanti, nel bene e nel male, per la nostra cultura. Una recente statistica, piuttosto inquietante, indica l'Italia come il paese, per densità di abitanti, con il più alto numero di omicidi famigliari nel mondo. Fratelli di sangue parla anche di questo.

D.S.: Faccio film per me stesso. Fratelli di sangue è un mio sogno e vorrei condividere questo sogno con più gente possibile.

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