Yoji Yamada a Notte senza fine – Trent’anni Fuori Orario

In occasione dei trent’anni di Fuori Orario, da stanotte su Rai 3 uno speciale sul regista giapponese candidato al Premio Oscar per miglior film straniero con Il crepuscolo del samurai (2002)

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Annunciato uno speciale sul regista giapponese Yoji Yamada nella sezione La dura tenerezza del cinema, a cura di Donatello Fumarola, in occasione dei festeggiamenti per i trent’anni di Fuori Orario.

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La carriera del regista candidato agli Oscar per il film drammatico Il crepuscolo del samurai (2002) viene omaggiata riproponendo alcune delle sue opere principali.

Di seguito il programma dettagliato delle serate del 2, 7 e 8 febbraio, in onda su RAI3.

Domenica 2 febbraio (dalle 02:45 alle 06:00):

TOKYO FAMILY

(Tokyo Kazoku, Giappone, 2013, col., v. o. sott. it., dur.140’13”)

Regia: Yoji Yamada

Con: Yu Aoi, Satoshi Tsumabuki, Kazuko Yoshiyuki, Yui Natsukawa, Jun Fubuki, Isao Hashizume

Shukichi e Tomiko Hirayama sono sposati da tempo e vivono in una piccola isola. I loro tre figli si sono trasferiti a Tokyo e i genitori vanno a trovarli. Qui scoprono che i ragazzi, ormai adulti, presi dal quotidiano, non hanno più tempo per i genitori, trattati alla stregua di estranei. Dire che Tokyo Family è il remake del capitale Viaggio a Tokyo (1953) con cui Yoji Yamada omaggia il maestro di cui è stato assistente, Yasujiro Ozu, è corretto ma riduttivo (Ozu stesso d’altra parte partiva dall’inarrivabile Make Way for Tomorrow di Leo McCarey). Yamada sa bene, trattandosi dell’arte del remake, che non con l’arduo compito di rimettere tutte le cose al loro posto si sarebbe cimentato, ma col cercare di nuovo il modo (che solo Ozu conosceva) in cui già allora si erano pacatamente assestate dove è impossibile qualunque assestamento Yamada riscrive fra le righe nuove righe che trascolorano lentamente lettera su lettera, parola dopo parola, sollevandosi dall’incarico allo stesso modo in cui Ozu impediva a se stesso di sovrapporsi allo svolgimento segreto del mondo. Le piccole, ovvie, ricontestualizzazioni (Tôkyô 2013 a fronte di Tôkyô 1953), neppure si notano, salvo qualche tocco di docile e un po’ istrionica ironia (forse Yamada in questo è ancora più vicino a McCarey di quanto fosse Ozu). Tutto scompare, come i tramonti che a Ozu sembravano lontanissimi. Tutto ti guarda accigliato e stupefatto. La città, la famiglia, l’isola, il cibo, i vestiti, le luci, le passeggiate, i dialoghi, l’alba, la morte: sei tu che ti oltrepassi di un oltrepassamento così fuggevole che non hai il tempo di vederlo. Il tempo, anzi, ruba se stesso. Qualcos’altro provvede a te (al te oltrepassato). Ma è questa, anche, l’ultima illusione: i palloncini non volano più e, fissando la città dalla finestra di un hotel asettico, non c’è modo di raggranellare quel che resta della vita, se non la stanchezza e l’onestà di essersi compiuta.

Il film è stato uno degli eventi maggiori della Berlinale 2013.

Venerdì 7 febbraio (dalle 01:10 alle 06:00):

KABEI – OUR MOTHER

(Id., Giappone, 2008, col., v. o. sott. it., dur. 127’33”)

Regia: Yoji Yamada

Con: Sayuri Yoshinaga, Tadanobu Asano, Rei Dan, Mirai Shida, Miku Sato, Umenosuke Nakamura

Tokyo, 1940. Kayo e Shigeru, uno scrittore, sono sposati da tempo e hanno due figlie. Un giorno la polizia irrompe nella loro modesta abitazione per arrestare l’uomo con l’accusa di tradimento. Ora tocca a Kayo (che le figlie chiamano Kabei) far sì che le figlie possano vivere una vita serena nonostante la detenzione del padre. Il nonno materno, ufficiale della polizia, aveva sempre contrastato il matrimonio della figlia e ora si vede anche posto sotto accusa dai colleghi perché ha un genero sovversivo. Kabei viene aiutata solo da un ex studente del marito, da sua sorella e da uno zio tanto rozzo quanto di buon cuore. Quando però la guerra con gli Stati Uniti esplode la situazione si fa ancor più difficile Kayo difenderà la famiglia accudendo i figli durante la guerra e difendendo il marito durante gli anni di carcere e anche dopo la sua morte. La storia famigliare si intreccia a quella politica del Giappone in guerra. Il tutto raccontato in flash-back dalla figlia primogenita. Tratto dal romanzo autobiografico di Teruyo Nogami (a lungo collaboratore alle sceneggiature per Akira Kurosawa), è uno dei film più intensi di Yamada e uno dei più belli in assoluto degli ultimi anni.

KYOTO STORY                                                                                                

(Kyoto Uzumasa Monogatari, Giappone, 2010, col., dur.87’55”, v.o.sott. it.,)   

Regia: Yoji Yamada, Tsutomu Abe

Soggetto: Yoji Yamada

Sceneggiatura: Tomoaki Sasae

Con: Hana Ebise (Kyoko), Yoshihiro Usami (Kota), Sôtarô Tanaka (Enoki), Mai Nishida, Min Tanaka, Rei Dan (voce narrante)

Gli amori giovanili di una ragazza e la vita quotidiana del famoso quartiere di Kyoto cresciuto attorno ai leggendari studi cinematografici della Shochiku. Raffinata incursione nell’illusione del documentario, diventa per Yamada l’occasione per un nuovo scavo verticale nella storia dell’immagine in Giappone e una riflessione teneramente implacabile sul rapporto tra destino e responsabilità. Tsutomu Aba, qui co-regista, è assistente di lunga data di Yamada. Presentato al Festival di Berlino edizione 60 nella sezione Forum.

Sabato 8 febbraio (dalle 01:10 alle 06:30):

OTOTO – SUO FRATELLO                    

(Id., Giappone, 2010, col., dur. 121’19”,v.o. sott. in it.)   

Regia: Yoji Yamada

Con: Sayuri Yoshinaga, Tsurube Shofukutei, Yu Aoi, Yuriko Ishida, Ryo Kase

Ginko, dopo la morte prematura del marito gestisce una farmacia con l’aiuto della figlia Koharu che vive con lei insieme con l’anziana suocera. Quando Koharu decide di sposare un medico si iniziano i preparativi per le nozze. Tra gli invitati c’è anche lo zio materno della ragazza, Tetsuro. Tutti in cuor loro sperano però che non partecipi perché portato al bere e sempre pronto ad esibirsi da attore senza speranze qual è. Il che puntualmente accade creando più di un imbarazzo. L’uomo il giorno successivo si scuserà ma ormai il danno è fatto. In breve tempo le nozze di Koharu si riveleranno fragili, ma Ginko dovrà anche fronteggiare i debiti contratti dal fratello con una donna. La rottura col fratello sembra ormai essere definitiva. Fin quando non giunge una telefonata dall’ospedale di Osaka: Tetsuro è in fin di vita. Capolavoro che Yamada dedica alla memoria di Kon Ichikawa, che nel 1960 aveva diretto un film col medesimo titolo (Ototo).

THE LITTLE HOUSE

(Chiisai Ouchi, Giappone, 2014, col., v. o. sott. it., dur.120’59”)     

Regia: Yoji Yamada

Tratto dal romanzo omonimo di: Koko Nakajima (vincitore del premio Naoki)

Sceneggiatura: Yōji Yamada e Emiko Hiramatsu

Con: Haru Kuroki (Taki da giovane), Chieko Baishō (Taki da anziana), Takarô Kotaoka (Mr. Masaki), Takako Matsuo (Tokiko, moglie di Mr Masaki), Hidetaka Yoshioka (Mr. Itakura), Satoshi Tsumabuki (Takeshi, nipote di Taki)

Taki, un’anziana domestica a riposo, scrive le sue memorie (l’interpretazione di Haru Kuroki riceve l’Orso d’argento come migliore attrice alla 64esima edizione della Berlinale). Dal 1936, durante gli anni della guerra del Giappone con la Cina e fino alla Seconda Guerra Mondiale, Taki serve nella casa della famiglia Hirai. Qui aiuterà Tokiko, la bellissima moglie di un produttore di giocattoli, a curare il cagionevole figlio di cinque anni Ryochi. E vedrà sbocciare, fino alla drammatica conclusione, l’amore impossibile fra Tokiko e un giovane impiegato del marito. I bombardamenti porteranno via tutto. Tratto dal romanzo omonimo di Kyoko Nakajima, è un capolavoro melò fra Ozu e Miyazaki (The Wind Rises).

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