Zalava, di Arsalan Amiri

Amiri spazia fra più generi: dallo storico, al dramma romantico fino ad accenni all’horror. E partendo dalle credenze e dalla magia indaga la struttura della realtà del suo Paese. In concorso alla SIC

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Gli abitanti di Zalava sono convinti che un demone infesti il loro piccolo villaggio. Da sempre convivono con l’idea di entità maligne che abitano le loro case e le loro strade e proprio per questo l’esorcista è una figura di grande spicco, fondamentale nell’assetto sociale. Molto di più di quella del sergente di polizia, simbolo dell’istituzione e scettico sulla reale esistenza dei demoni, che con l’accusa di approfittare della fede degli abitanti arresta l’esorcista Amardam, dando il via ad una serie di eventi disastrosi. Inizia così un conflitto fra il credere e il non credere, fra la logica e l’illogico, che il regista Arsalan Amiri mette in scena nel suo Zalava, presentato alla 36° Settimana Internazionale della Critica. E per raccontare questa storia di credenze e superstizioni spazia fra più generi: dal film storico e agli accenni al dramma romantico, accostandosi poi in parte anche al genere horror.

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Da qui l’ispirazione alla figura dei Jiin, entità soprannaturali citate nel Corano, intermedie fra gli angeli e gli umani, e spesso e volentieri di carattere maligno. Demoni che nel film prendono possesso del corpo degli abitanti portando il villaggio alla rovina. Ma Zalava è anche un film storico e le vicende dell’esorcista, del sergente, della dottoressa e degli abitanti di Zalava si svolgono nel 1978, poco prima della rivoluzione islamica iraniana che segnò il passaggio fra la monarchia e la repubblica islamica sciita. E questo è certamente l’aspetto più interessante di Zalava e cioè come Amiri spazi fra gli accenni al genere e le credenze popolari per raccontare, attraverso lo scontro continuo fra la figura istituzionale e quella religiosa-popolare, l’atmosfera prerivoluzionaria. Così esplicitando la messa in discussione dell’autorità operata dall’esorcista Amardam e in parte anche dalla dottoressa amata dal sergente, Amiri ci restituisce in fondo un film a tutti gli effetti politico, partendo dalle credenze e dalla magia per provare indagare la struttura della realtà e del suo Paese.

E nel farlo si concentra intorno ad un oggetto specifico, che diventerà l’oggetto che più ossessiona le due figure protagoniste, sergente ed esorcista, e cioè il barattolo di vetro dove quest’ultimo rinchiude i demoni prima di distruggerli per sempre. Un oggetto che in Zalava ha il merito di farci ragionare anche sul visibile e il non visibile nel cinema, e in particolare nel genere horror. Il barattolo contiene il demone che l’esorcista Amardam intrappola all’inizio del film e che ossessiona il sergente, sempre indeciso se aprirlo o no. Il demone è davvero lì dentro? L’entità che per tutto il tempo aleggia sul film da rinchiusa in un barattolo si libra poi nell’aria e da spettatori noi stessi guardando il nulla, siamo portati a chiederci se quel demone sia effettivamente lì. Pensando, subito dopo, a chi o cosa rappresenti effettivamente questo demone e da che parte si trovi davvero la verità, sempre ammesso che ce ne sia una.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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