ZEBRA CROSSING. Duggie Fields – Il software e la città

Intervista esclusiva con l’artista inglese, dall’immagine di Londra restituita da Hollywood alla demolizione della città, dalla tecnologia a portata di mano a Bowie e Blade Runner. Guarda il video

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Non è la distruzione delle città solo un classico del cinema? Ci chiede sorridendo Duggie Fields (1945, Tidworth ma residente a Londra). Abbiamo intervistato, via skype videocall, l’artista inglese presso il suo studio e abitazione di Earls Court, dove risiede dalla fine degli anni 60 (periodo in cui, durante i propri studi di architettura, divideva lo stesso appartamento con Syd Barrett, questi appena fuoriuscito dai Pink Floyd e nel mezzo di quel viaggio psichedelico che lo porterà a sfornare i suoi due dischi solisti per poi tornare a vivere da sua madre a Cambridge).

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Uno dei dischi di Barrett è, come sapete, The Madcap Laughs, la cui copertina è fatta con una foto scattata proprio nella stessa stanza dove Fields oggi ha il suo atelier. Una stanza quindi che trasuda storia e arte da tantissimi anni, nonostante tutti i cambi di prospettiva storica fuori di essa. Una specie di macchina del tempo.

Il discorso sulla Storia diventa abbastanza importante oggi a Londra e riguardo Londra. Sia per la ovvia dimensione storica della città che per, al contrario, l’apparente negazione che la stessa fa di tale Storia. Andando a scalfire, porre in discussione e anche distruggere il proprio patrimonio architettonico. Negli ultimi anni vari film di Hollywood hanno preso Londra come set a cielo aperto per dare vita a progetti e lavoro a maestranze, forse complici dei costi più bassi che in California. In questi blockbuster Londra viene costantemente rasa al suolo. Capita in GI Joe Retaliation (2016),  Star Trek Into Darkness (2013), Fast & furious 6 (2013), London Has Fallen (2016), The Mummy (2017), con una sistematicità che sembra quasi diventata un modus, quasi da far pensare ad una volontà a priori.

Interrogato su di un’opinione a riguardo Fields ridendo ha detto che il punto è sempre solo il denaro, senza ulteriori livelli di interpretazione. Ma il denaro sta alla base della distruzione pure di reali pezzi di Londra, come l’arena di Earls Court (dove peraltro i Pink Floyd riuscirono a creare lo spettacolo del muro cadente con The Wall).

La città quindi diventa luogo immaginario di distruzione filmica e luogo reale di distruzione fisica, assumendo i caratteri di territorio di battaglie legali ed amministrative per salvare o uccidere la propria Storia. Una negazione di sé che vuole proiettarla verso un futuro non ancora simile a Blade Runner (ambientato come sapete nel 2019) ma comunque il più serializzato possibile. Divenendo un format tale da essere adottato in tutto il mondo, tipo a Dubai per esempio.

In più oggi il numero crescente di senzatetto è già parte del nostro immaginario (si pensi al cinema di Terry Gilliam, che di Londra sa qualcosa) e scenari solo ipotizzabili negli anni 90 stanno divenendo sempre più possibili. Sappiamo bene come una via di fuga, o di resistenza, può essere la capacità di piegare la tecnologia a proprio vantaggio, anche quando si tratti di low-tech, anche quando nasce come gadget che sta nelle nostre tasche, come spiegato da Fields.

Abbiamo chiesto all’artista domande sul futuro e sul passato proprio mentre in quella stanza dipingeva il suo prossimo capolavoro durante il giorno dell’anniversario della morte di David Bowie (che da Londra di fatto era andato via). Come autentico protagonista vivente della scena underground londinese da mezzo secolo ad oggi (forte di legami strettissimi con Vivienne Westwood, Zandra Rhodes o Andrew Logan) Fields ha visto tale scena cambiare seguendo mode importate o prodotte (ricordiamoci sempre il discorso di Bowie sull’essere “catalizzatore”), soffrendo anche l’avvento di una capitalizzazione culturale fine a sé stessa come fu per esempio l’arrivo dei YBAS di Damien Hirst negli anni 80. Atto che lo spinse forse fuori dalla scena mainstream dell’epoca.

Già oggi il tempo gli ha reso ciò che gli aveva tolto, grazie all’interesse che suscita sul web tutto il suo lavoro (dai quadri, ai video alle musiche). E da quella stanza, fissa ma fluttuante, egli compie la propria resistenza come artista e come cittadino.

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