Zero in condotta, di Jean Vigo

Pur deturpato dalla censura, la sua grandezza è in uno sguardo capace di mostrare in un modo unico di presentare le memorie dell’infanzia. In sala da lunedì 15 in versione restaurata

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“È evidentemente a Renoir che Jean Vigo si avvicina di più anche se si è maggiormente discostato da lui nella crudezza e anche nell’amore dell’immagine. Tutti e due sono cresciuti in un’atmosfera nello stesso tempo ricca e povera, aristocratica e popolare, ma il cuore di Renoir non ha mai sanguinato (…) I film di Jean Vigo, sono l’illustrazione fedele, divertente e triste, fraterna e affettuosa, sempre acuta, di questo motto: “Proteggo il più debole”.

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Francois Truffaut

 

E’ il 1933. Dopo lo splendido documentario À propos de Nice, Jean Vigo si immerge nella autobiografia e rispolvera i ricordi di collegio nel mediometraggio Zero in condotta.

Per quei tempi il film è una bomba molotov nel cuore delle istituzioni francesi e in effetti i tagli e le censure deturperanno l’opera; lo stesso destino toccherà l’anno dopo al capolavoro L’Atalante. La grandezza di Zero in  condotta sta nello sguardo di Vigo: un modo unico di presentare le memorie dell’infanzia rivestendole di una pellicola trasparente di rimpianto e spogliandole da contaminazioni romantiche. Equidistante dal Neorealismo e dal Surrealismo, memore della lezione di Renoir, lo stile di Vigo tratteggia i ricordi con un cinema di poesia, in cui ad ogni immagine corrisponde un verso. Questo stile particolare sospeso tra il sogno e la realtà influenzerà moltissimi registi a venire, su tutti Francois Truffaut e Federico Fellini.

Fotografato da Boris Kaufman, fratello di Dziga Vertov, Zero in condotta illumina i beati anni del castigo di una luce sinistra, tra ordini assurdi e regole aterosclerotiche, con i ragazzini ammassati negli stanzoni dei dormitori, con comportamenti da zero in condotta. Ma zero in condotta è in realtà il voto da assegnare alla maggior parte degli educatori del collegio, alle loro frasi castranti, al regime militare, alle carezze lascive, alle loro perversioni. E’ il pensiero malvagio degli adulti che contamina l’innocenza dei ragazzi. All’ennesimo abuso morale e sessuale la risposta è solo una: merda! La rivolta coinvolge l’autocelebrazione del potere in una festa ipocrita e l’attacco avverrà dall’alto. Poi la fuga in fila indiana, verso il cielo.

zero in condotta vigoAbilissimo nel maneggiare il magma incandescente della memoria, Jean Vigo ci regala dei momenti di cinema puro, con simboli e metafore che si susseguono armonicamente. Molto toccante nell’incipit il triste viaggio in treno per ritornare in collegio mentre la vita scorre fuori dal finestrino, con giochi e magie che esorcizzano la paura: ci si immagina già grandi tra palloncini gonfiati come tette e sigari fumati di nascosto, anche se l’ombra minacciosa del Signor Censore fa svanire ogni goliardia. La stessa ombra lunga che si intravede dietro una tenda appare come un mostro distorto dalla falsa prospettiva dell’occhio infantile. Qualche bambino ritarda di un giorno l’ingresso in collegio, qualcun altro ha il mal di pancia, un altro ancora fa il sonnambulo (nella realtà è morto di Spagnola nel 1919). Un solo insegnante, che fa il verso a Charlie Chaplin imitandone l’andatura, sembra prendere le parti dei ragazzi e disegna caricature animate degli altri colleghi. Il magico tocco di Vigo si completa rappresentando il Rettore della scuola come un nano (il nano Delphin) che si guarda allo specchio e urla improperi ai poveri allievi mentre la mdp si sposta in fondo alla classe a inquadrare uno sconsolato dimenare il capo. C’è una scena che riassume tutta l’innocenza dell’infanzia: una bambina si arrampica su un pianoforte per recuperare dei pesci in una palla di vetro mentre il compagno di giochi è bendato per non guardare le gambe e le mutandine della compagnetta. Occhi che invece non rimangono bendati sono quelli del Signor Censore che spia il sorvegliante Huguet mentre fa vedere agli alunni le cose capovolte, in un punto di vista ribaltato. E’ il mondo sottosopra, quello della lotta coi cuscini che ricorda tanto quella di Chaplin ne La febbre dell’oro, in un delirio di piume svolazzanti e in una giravolta al rallentatore che è omaggio al potere illusorio del cinema. “Noli me tangere” sembrano supplicare gli occhi dei bambini, e in fondo è una commovente esortazione di Vigo a lasciare intatti i voli dell’infanzia, per proteggere i più deboli. Questi anni nessuno te li ridà più indietro, e Jean Vigo, mentre l’ombra della tubercolosi lo segue “da mane a sera”, si volta un’ ultima volta a guardarli volare liberi nel cielo con la consapevolezza di averli perduti per sempre.

Titolo originale: Zéro de conduite

Regia: Jean Vigo

Interpreti: Jean Dasté, Robert Le Flon, Delphin, Léon Larive, Pierre Blanchar, Louis de Gonzague-Frick, Henry Stork

Diistribuzione: Il Cinema Ritrovato – Cineteca di Bologna

Durata: 41′

Origine: Francia 1933

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