Zona d’ombra, di Peter Landesman

Nonostante la buona prova di Will Smith, Zona d’ombra si rivela un prodotto dal respiro televisivo, soprattutto per i limiti oggettivi di un autore ancora non pronto ad essere definito cineasta.

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Il dottor Bennet Omalu, patologo forense del tribunale di Pittsburgh, non è il tipo di scienziato disposto a tutto per cercare notorietà e fondi per le proprie ricerche. A lui basta poco, il proprio lavoro, della buona musica e dei bisturi sempre perfetti, per sentirsi realizzato. Massiccio ma dall’aria sempre trasognata e bonaria, il dottore, soprattutto per i propri natali africani, si ritrova sempre a essere un pesce fuor d’acqua in un’America fatta di ambizioni, rancori personali e privilegi da difendere a spada tratta (tutti difetti ben rappresentati dal suo fastidioso collega Dan). Cosi interessato al rispetto dei propri pazienti e a compiere con dedizione il proprio mestiere di medico (fino a raggiungere scomode verità), Omalu è l’uomo perfetto per scoprire il male oscuro che colpisce gli ex-atleti di football, iniziando una lunga e faticosa battaglia contro il favoloso, e omertoso, mondo sportivo governato dalla NFL.

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Zona d’ombra è, appunto, il racconto degli sforzi di uno scienziato coraggioso per dimostrare al mondo, e alle istituzioni sportive, l’esistenza della CTE, chronic traumatic encephalopathy, una sindrome neurologica che colpisce i giocatori sfiniti da migliaia di colpi e traumi alla testa. Ispiratosi ai veri fatti di cronaca che sconvolsero l’opinione pubblica americana, Peter Landesman, dopo il semi-documentaristico Parkland sull’assassinio di Kennedy, torna al cinema civile con l’affresco edificante di un altro, semplice, eroe borghese. Il film, con uno stile asettico ed eccessivamente glaciale, si appoggia, infatti, sulla performance sincera di un convinto Will Smith (la sua mancata candidatura all’Oscar è stata una delle micce che ha fatto esplodere il caso #OscarSoWhite), pronto a lottare con gandhiana pazienza contro il Sistema (arrogante e capitalistico) della palla ovale.

Al di là delle ottime intenzioni degli artisti chiamati in causa (la passione di Smith per il progetto è ammirevole ed è evidente in ogni scena) Zona d’ombra non trova la forza di generare una vera e propria indignazione nel proprio pubblico, trasformando le battaglie del dottor Omalu e dei suoi colleghi (ottime le prove di Albert Brooks e Alec Baldwin) in freddi movimenti calcolati, ostacolati solo da manichei e indefiniti “burocrati sportivi”. Siamo lontani dai territori morali di Insider o A Civil Action. La visione registica di Landesman, ex-reporter ancora molto lontano dall’aver assimilato il ruolo di cineasta, ha dei limiti evidenti e il suo film ne paga le conseguenze. Nonostante la prova del protagonista (comunque non cosi clamorosa da gridare scandali per la mancanza di riconoscimenti), Zona d’ombra si dimostra un buon prodotto televisivo più che un’opera cinematografica.

 

Titolo originale: Concussion
Regia: Peter Landesman
Interpreti: Will Smith, Alec Baldwin, Luke Wilson, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Gugu Mbatha-Raw, Eddie Marsan, Bitsie Tulloch,Stephen Moyer, David Morse, Albert Brooks
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 120′

Origine: Usa, 2016

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