Blue Jean, di Georgia Oakley

Un film efficace che sfugge ogni banalità e retorica con una storia che sa entrare nel privato dei suoi personaggi senza mai incedere all’eccesso narrativo. Ottima Rose McEwen. Giornate degli Autori.

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C’è un costante pragmatismo nel cinema inglese, un canone narrativo di pregevole secchezza che taglia corto su inutili lungaggini e sui lunghi giri di parole, sulle vicende che non appartengono strettamente alla narrazione. Il cinema di Loach lo dimostra con le sue durate e questo criterio diventa un marchio di fabbrica al quale non sfugge Georgia Oakley regista di questa storia ambientata negli anni del governo Thatcher durante il quale, tra gli altri danni, vi è stata una esplicita, quanto deplorevole, emarginazione degli omossessuali con tanto di proclami governativi contro l’immorale pratica. Jean è una professoressa di educazione fisica che una relazione omosessuale con Vi. È proprio questa colpevole ambiguità che caratterizza i comportamenti della giovane insegnante a innescare il processo di quella necessaria e consapevole mutazione.
Blue Jean sa farsi cinema efficace e avvalendosi di un’ottima Rosy McEwen che veste i panni della imbarazzata Jean, coglie il senso di quella benefica trasformazione che sente diventare rivalsa collettiva contro il sacrificio dei diritti. A conferma di quanto si diceva per mostrare questo collettivo sentire comune del quale anche Jean si sentirà parte, basta inquadrare, di sfuggita, una scritta che impreca contro “Maggie” Thatcher che si sovrappone alla propaganda governativa di protezione della moralità bandendo l’omosessualità come male infernale.
Dunque film che sfugge ogni banalità e ogni sovrabbondante retorica con una storia che sa entrare nel privato dei suoi personaggi senza mai incedere all’eccesso narrativo. La colpa e la redenzione di Jean diventano il pilastro del nuovo che all’epoca (ancora) avanzava e nel crocevia di una società che lentamente acquisisce, insieme a Jean, coscienza, in quella maturazione politica che qui si intravede, trova spazio anche la lenta costruzione di una rete solidale tra le componenti del nascente movimento omosessuale. Il film diventa così il racconto visto da un’ottica privata, della progressiva incubazione di quella inesorabile e incruenta rivolta che ha riaffermato i diritti di ogni minoranza prima di un nuovo e altrettanto erosivo arretramento che è invece storia invisibile dei nostri tempi.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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