VENEZIA 66 – "Wahed-Sefr (One-Zero)", di Kamla Abu Zekri (Orizzonti)

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Una gloriosa partita di calcio fa da sfondo a una giornata in cui otto personaggi scoprono cosa è realmente importante per loro. Un film caratterizzato da una netta prevalenza femminile, in cui gli uomini si rivelano quasi subito deboli e disonesti. Una trama ben costruita, che riserva sorprese e anche una certa ingenuità; ma, lungi dall’irritare, essa costituisce la cifra di un film a suo modo efficace.

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one zeroUna sola giornata ci offre uno squarcio sulla vita di otto personaggi. A fare da sfondo e, paradossalmente, da protagonista è la finale della Coppa delle Nazioni Africane 2008, in cui la squadra egiziana vincerà “uno a zero” oscurando, almeno per una notte, le fatiche di coloro che non calcano un campo sportivo, ma si muovono nella vita vera. Un film prevalentemente di donne: fragili, spesso in lacrime, presto si rivelano loro le più solide; su di loro grava il mantenimento della famiglia. E poi ci sono i bambini: perlopiù figure di contorno, che aggiungono colore alla vicenda, con i loro schiamazzi lungo le strade di un Egitto gioioso e disperato al tempo stesso. Solo un ragazzino spicca sugli altri: Alì, che sembra aver capito già in tenera età come si sta al mondo, e non ha nulla da imparare da uomini già formati, disonesti come lui ma meno furbi. Otto personaggi, ognuno con il suo carico di grinta e abbattimento: la regista ce li presenta uno ad uno e, solamente quando pensiamo di averne inquadrato le vite, ci coglie di sorpresa, svelando i rapporti di parentela, di amore, di sudditanza che, al contempo, li uniscono e li dividono, secondo sentimenti sempre contrastanti. E gli scontri non caratterizzano solo i legami fra i personaggi, ma la stessa psiche di ognuno, rappresentando il motore che scatena le sofferenze più profonde. Riham indossa il chador: vuole così manifestare a se stessa prima ancora che agli altri la sua purezza; ma la vanità e il desiderio di piacere cozzano dolorosamente con tale aspirazione. La sorella Nina compie un processo quasi diametralmente opposto: bella cantante pop, che sottopone la sua sensualità allo sguardo spietato del pubblico, si rivela teneramente legata alla famiglia, e preoccupata solo di sostentarla. Sherif è un presentatore televisivo cinico e attaccato al denaro. Non è un caso che, all’inizio, sia la canzone dei Pink Floyd Money a suggerire la natura della sua indole. Un evento inaspettato, però, lo redime; questa sorta di espiazione viene preannunciata dal brano Hey You, ancora dei Pink Floyd, che parla significativamente di isolamento dal mondo e del tentativo di reagire ad esso. Nel film non mancano spunti divertenti, soprattutto quando il commissariato e l’ospedale diventano poli di socializzazione – quasi dei bar per i soliti avventori alcolisti – e la partita in TV lascia in secondo piano tutto il resto. Perché, stranamente, è proprio la gloriosa finale calcistica a veicolare le scene più liriche e quelle più comiche; è nella gioia per un evento che non riguarda la vita di nessuno ma che, in qualche modo, alleggerisce le vite di tutti che la regista egiziana Kamla Abu Zekri (già autrice di diversi film, alcuni dei quali vincitori di premi a vari Festival) riunisce le fila della sua storia, rivelando una certa ingenuità di racconto ma anche la capacità di creare una struttura solida, in cui tutto trova un suo compimento.
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