VENEZIA 68 – "Terraferma", di Emanuele Crialese (Concorso)


E' proprio in virtù dei suoi limiti e di alcune ingenuità di fondo che Terraferma ancor di più lascia intravedere i germi di un cinema che ha il coraggio di credere nelle immagini e nelle storie che racconta senza filtri commerciali o intellettualistici. Crialese non chiede nulla agli altri, puntando solo sulla sua capacità di aprirsi al respiro della terra e dell'acqua, senza dimenticare di filmare l'uomo. E alcuni momenti rimangono impressi con una forza poco comune nell'attuale panorama cinematografico italiano

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Terraferma, CrialeseNonostante siano passati 5 anni dal celebrato Nuovomondo che lo aveva portato alla ribalta internazionale, Crialese è ancora lì, a filmare le sue piccole storie di pescatori, isolani ai margini di un mondo forse non più estraneo come un tempo, ma anzi pericolosamente invasivo. Novella morale nuovamente immersa negli spazi estesi di un'isola siciliana che sembra lontana anni luce dalla "terraferma" industrializzata, per la prima mezz'ora Terraferma pare replicare il contatto inconciliabile tra Vecchio e Nuovo che l'ultima parte di Nuovomondo ci aveva raccontato. Il capofamiglia Ernesto è un pescatore di 70 anni che si ostina a non vendere il peschereccio e ad abbandonare l'isola. A niente valgono le intenzioni di Giuliana, del figlio Nino e del nipote Filippo, ingenuo ragazzo di mare che non ha mai lasciato l'isola in cui vive.  Poi un improvviso cambio di rotta veicola il film sui territori dell'attualità e della cronaca. Durante un'escursione in mare Filippo e il nonno caricano a bordo un gruppo di clandestini abbandonati. Tra questi c'è una donna incinta che la famiglia decide di ospitare dopo averla aiutata in piena notte a dare alla luce la bambina. E' la molla che porta il film verso strategie relazionali nuove. Verso storie che si aprono e altre che si chiudono. Quella di Giuliana con la madre etiope che deve raggiungere Torino per rivedere il marito dopo cinque anni e quella di Filippo che anzichè innamorarsi della turista del nord deve ancontantarsi di vederla andar via, tornare a una terraferma troppo lontana dal suo mondo.  Del resto il Nuovo di mondo, quello delle leggi razziali e del turismo a buon mercato, sembra fare di tutto pur di aumentare la distanza tra isola e Stato, favorendo il contatto con lo straniero in una specie di simbiosi civile primitiva e ritrovata, dettata dall'intensità di un contatto umano che va oltre le sovrastrutture.

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Terraferma, Emanuele CrialeseA più riprese Terraferma rischia di essere un film a tesi. Certo. Ma non solo. A tratti è l'opera del regista italiano dove il rapporto tra l'ambizione visionaria e la sapienza di narratore verista denuncia lo scarto maggiore, anche a causa degli evidenti schematismi nelle sue caratterizzazioni psicologiche ed etiche. Ma è forse proprio in virtù dei suoi limiti e di alcune ingenuità di fondo che Terraferma ancor di più lascia intravedere i germi di un cinema che ha il coraggio di credere nelle immagini e nelle storie che racconta senza filtri commerciali o intellettualistici. Crialese non chiede nulla agli altri, puntando solo sulla sua capacità di creare immagini dentro le storie e viceversa. Alcuni momenti rimangono impressi con una forza poco comune nell'attuale panorama cinematografico italiano. Si vedano le due sequenze in mare con i clandestini che chiedono disperatamente soccorso, cariche di una fisicità e di una scioccante visionarietà neorealista che immergono improvvisamente la pellicola in territori di grande violenza espressiva. Crialese si apre al respiro della terra e dell'acqua, qua e là sbanda quando deve per necessità drammaturgiche tessere le dinamiche relazionali tra i personaggi, ma porta avanti un discorso cinematografico potente, di originale spessore percettivo, sinceramente morale. Anche perchè puro, semplice, aperto a tutti.

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