Auto-Tune Theory e il futuro della musica. L’incontro a Perugia

Valerio Mattioli e UFPT si sono confrontati su Auto-Tune Theory di Kit Mackintosh, libro incendiario sullo strumento di manipolazione vocale e sulle prospettive che apre la psichedelia vocal

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Ai piedi della Rocca Paolina di Perugia, la fontana dedicata a Nettuno a due passi dal centro troneggia su un Auto-Tune. È qui che si è svolto, lo scorso 2 luglio, l’incontro “Oltre la retromania. L’Autotune e il futuro della musica”, organizzato da Trascendanza ed Edicola 518. La conversazione, portata avanti da Valerio Mattioli (Exmachina – Storia musicale della nostra estinzione) e UFPT (Trap – Storie distopiche di un futuro assente) moderati da Alessio Giovagnoni, si muove attorno alla portata innovativa del famigerato strumento (e software) di correzione vocale. Il punto di partenza è il libro di Kit Mackintosh, Auto-Tune Theory. Trap, drill, bashment e il futuro della musica, da poco tradotto in Italia da NERO. Il saggio segue le tracce dello strumento percorrendo sentieri per lo più lontani dal mainstream, dalla drill fino alla bashment giamaicana, oltre che ovviamente la trap. Tutte realtà guardate con sospetto dalle istituzioni e dal gusto comune musicale, ma che per il giovanissimo autore inglese sono l’incubazione di ciò che verrà, anche oltre la mera sfera musicale.

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L’idea di Kit Mackintosh è che questi generi, che si affermano a partire dal primo decennio degli anni 2000 e che poi contaminano anche la musica pop, rappresentino una vera e propria rottura con l’immaginario a loro precedente”, riassume in apertura Giovagnoni. Questi generi rappresentano una rottura profonda anche con il proprio retroterra culturale, distanziandosi nettamente dai valori e dagli stilemi passati. Viene per un attimo interrotto il “ciclo di rielaborazione e riproposizione del passato” della retromania, ossia il costante ripiego verso forme passate osservato efficacemente, come delineato da Simon Reynolds, citato da Mattioli. Nella voce modificata al punto da sembrare una sirena di Tommy Lee Sparta c’è il rigetto totale della cultura rastafariana; Future è l’intossicazione del precedente mondo di Jay-Z. È su questa tabula rasa che gioca la stessa prosa incendiaria di Mackintosh. “Quindi vaffanculo al futuro dei vostri padri. Fanculo tutti i vostri futuri museali e in via di putrefazione e calcificati che hanno formato la placca nell’immaginazione degli entusiasti della musica. Questo non è un libro su un pantheon pacificato di pionieri pre-approvati”. La prefazione dell’autore non lascia molto a intendere.

La polemica di Auto-Tune Theory parte contestando l’idea che non ci sia nulla di nuovo nella musica contemporanea. Lo fa col tono della rivendicazione, “di chi dice ‘esistiamo e questa è la musica che ci rappresenta’”, dice UFPT, che ricorda un altro fatto importante. Kit Mackintosh ha solo 26 anni, è un nativo digitale alla prima esperienza di scrittura. Il suo stile spezzato, che procede a ondate che si infrangono una dopo l’altra sul lettore, è il perfetto amplificatore per i segnali provenienti da contesti di strada mutanti, infiltrati dall’agente esterno della tecnologia. “La musica di strada è spesso legata a un elemento di “keep it real”, di realtà. La trap, la drill e il bashment de-realizzano la strada”, sostiene Mattioli. Il processo di derealizzazione in corso è quello che stiamo vivendo sulla nostra pelle, risultato della collisione fra la realtà e il digitale. La velocità con la quale ciò cambia ciò che ci circonda non ci consente una presa ferma sul presente, sul quale collassano passato e futuro. L’umanità sembra aver imboccato un vicolo cieco. La reazione messa in atto dai generi musicali affrontati da Auto-Tune Theory è istintiva: proiettarsi oltre i confini dell’umano.

La voce, elemento tanto personale da risultare perturbante (quanto è difficile riascoltarsi!), è il virus dormiente che viene riattivato, tramite l’elettroshock dell’Auto-Tune, per avviare la mutazione. Troppo distanti dal passato, privati del futuro, agli artisti affrontati da Mackintosh non resta che indossare le vestigia del presente. Il corpo diventa così il centro del discorso, su di esso tracimano segni che lo trasformano. A contatto con l’Auto-Tune, quelli che una volta avremmo chiamato uomini diventano nebbie fluorescenti che urlano neon o titani spietati pronti a sfidare gli dei. Il loro corpo vive l’apocalisse, aprendo alla mente nuovi percorsi. Che l’irrazionalità del desiderio possa infiltrarsi, attraverso la psichedelia vocale, nella fredda logica del codice? “La trap non è un genere che pensa al futuro, è l’espressione di quel momento lì”. In questa constatazione di UFPT c’è in definitiva il motivo per il quale tanto questa musica quanto il libro di Mackintosh sono fondamentali: la capacità di cogliere e restituire un attimo nella sua complessa evanescenza, nel suo costante mutamento. Se è vero, allora, che “il significato di distopia non è semplicemente il contrario di utopia. Si tratta, invece, di un futuro dislocato”. Eccolo, allora, il corpo della musica che vaga alla deriva in un mare di bit, alla ricerca di nuovi futuri. Il vento digitale soffiato dal nuovo Nettuno lo porterà su nuove sponde o al centro d’un oceano?

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