BERLINALE 60 – "Father of Invention", di Trent Cooper (Panorama Special)

kevin spacey in father of invention di trent cooper
La cosa che più stupisce di Father of Invention è il modo in cui il film di Trent Cooper abbia scelto di sposare un messaggio jeffersoniano che lo allontana dall'umore di altre commedie contemporanee. Gli Stati Uniti non danno una sola chance per essere ricchi e felici: ne concedono addirittura due. Il revival è talmente studiato, furbo e involontariamente passee che finisce addirittura per essere gradevole.

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kevin spacey in father of invention di trent cooperCosa si potrebbe rimproverare a Father of Invention, il secondo lungometraggio di Trent Cooper? Forse, il fatto di essere – a dispetto di altri film contemporanei, specie a Welcome to the Rileys, con cui condivide lo sfondo di New Orleans – completamente slegato dallo stato d’animo della sua nazione. Davanti alla confusione e alla crisi, la parabola di Kevin Spacey da risposte vecchie di venti anni. Non lo si può certo criticare per essere progettato male, perché la sceneggiatura scritta insieme a Jonathan D. Krane è scaltra e astuta, e contiene tutta una serie di elementi che cercano di appropriarsi della lezione di Frank Capra, partorita come rimedio per l'altra grande crisi, quella del 1929. La trama ha uno sviluppo esemplare: come spesso accade negli Stati Uniti, il confine tra il successo e il fallimento è molto labile, e può essere attraversato in pochissimo tempo. Così, l’inventore Kevin Spacey si ritrova – per colpa di un suo prodotto difettoso – ad abbandonare un florido impero commerciale basato sulle televendite e a farsi otto anni di prigione, da cui esce ridotto ad un clochard. Nel frattempo, la moglie lo ha lasciato e ha sperperato tutto il suo patrimonio, e la figlia non ha più molta voglia di parlare con lui. Quella della completa degradazione – economica ed affettiva, che dovrebbe rispecchiarsi in quella della città travolta dall'uragano Katrina – dell’individuo è una delle tipiche situazioni di partenza del genere hollywoodiano. La cosa più sorprendente di Father of Invention è che non tenta nemmeno di allontanarsi dal percorso scritto sin dalla prima inquadratura, e sposa in pieno la morale jeffersoniana della terra in cui non solo è permessa un’occasione a tutti, ma addirittura ne sono concesse due. Perché il fato di Kevin Spacey è quello di essere ricco, e infatti – in base ad un revival della predestinazione che non si vedeva dai tempi di Ronald Reagan – il genio caduto in disgrazia ha la possibilità di rimettersi in pista, di lottare per riguadagnare il riscatto, la stima e l’amore perduti. La scelta di Cooper è allo stesso tempo bizzarra e sorprendente, e lascia spiazzati: perchè davanti all’assenza di una prospettiva problematica (forse, un vago accenno a come la società americana preferisca affidarsi all’immagine di una persona, piuttosto che alle idee che ha) si finisce addirittura per essere affascinati da una morale tanto passee, travestita da accattivante produzione indie. Heather Graham fa la lesbica indecisa, Virginia Madsen è una ex-moglie isterica che vuole fare la cantante, e Kevin Spacey si cala in un ruolo che gli permette di gigioneggiare senza mai entrare veramente nel cuore dello spettatore.

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