Blog GUERRE DI RETE – Social e disinformazione

Secondo Facebook crescono le campagne di disinformazione sui social gestite da società di PR. La newsletter di notizie cyber di Carola Frediani

Guerre di Rete – una newsletter di notizie cyber
a cura di Carola Frediani
N.106 – 16 maggio 2021


Crescono le campagne di disinformazione sui social gestite da società di PR, segnala Facebook
Le campagne di propaganda e disinformazione gestite segretamente da governi sui social media non sono certo una novità. Tuttavia, secondo Facebook, sempre più campagne di questo tipo sono delegate a società di pubbliche relazioni, a entità commerciali che distanziano i mandanti dell’operazione dagli esecutori. “Abbiamo visto una crescita di questo genere di interventi”, ha dichiarato il capo per le security policy del social, Nathaniel Gleicher, con attori meno visibili capaci di amplificare contenuti polarizzanti su questioni anche molto locali.
Un caso recente è quello del Messico. La scorsa settimana Facebook ha rimosso decine di account e pagine inautentiche che cercavano di spingere la rielezione di Julian Zacarias, attuale sindaco di Progreso, denigrando la rivale Lila Frias Castillo. La campagna gestiva molte pagine e account che apparivano essere media indipendenti, quando, di fatto, erano collegati a Sombrero Blanco, una società messicana di relazioni pubbliche, e allo stesso Zacaria.

In passato Facebook aveva pubblicamente denunciato anche le attività gestite da una società di lobbying israeliana, attività che si dispiegavano in vari Paesi africani, del Sudest asiatico e dell’America Latina, a seconda dei committenti. Poi c’era stato il caso di una società tunisina che gestiva campagne collegate a varie elezioni in Africa; varie società di marketing brasiliane, anch’esse attive in relazione a elezioni locali. E poi episodi nelle Filippine, in Egitto, Canada e altri Paesi (Cyberscoop).
Insomma, la verità è che molta disinformazione e cattiva informazione, molte campagne coordinate e inautentiche, mosto astroturfing, nascono dall’interno dei singoli Paesi, più che dall’esterno. Da politici, partiti, governi. E se la cattiva informazione è una sfida a livello globale, in alcuni luoghi, come in India, “è praticamente incorporata nelle comunicazioni del partito al governo”, scrive Rest of the World. “E il target principale di queste campagne sono le minoranze religiose, nello specifico quella musulmana”.

L’armata di finti utenti cinesi su Twitter
Esistono però anche campagne di influenza orientate all’estero. Un esempio sembrerebbe essere quello evidenziato in questi giorni da una inchiesta di Associated Press e dell’ Oxford Internet Institute. In Cina, dice l’indagine, un’armata di finti account Twitter ha ritwittato diplomatici cinesi e media statali cinesi per decine di migliaia di volte, amplificando di nascosto i messaggi governativi, senza far capire che erano sponsorizzati dallo Stato. Alcuni account hanno anche impersonato cittadini britannici, prima di essere chiusi da Twitter, come conseguenza dell’inchiesta. Secondo i suoi autori, il tipo di attività inautentica svelata mostrerebbe il crescente interesse di Beijing nell’influenzare l’opinione pubblica globale al di là dei suoi confini e dei suoi interessi strategici principali, come Taiwan, Hong Kong e lo Xinjiang.

Usa e Uk investono contro la propaganda straniera
Tra l’altro poche settimane fa negli Usa l’ufficio del direttore dell’intelligence nazionale (ODNI) ha annunciato la creazione di un centro dedicato a tracciare gli sforzi stranieri di orchestrare campagne di influenza e disinformazione negli Usa. Si chiamerà, abbastanza brutalmente, Foreign Malign Influence Center, centro sull’influenza malevola straniera. (CBS)
In Gran Bretagna, nel mentre, il segretario di Stato per gli affari esteri Dominic Raab ha annunciato un finanziamento di 8 milioni di sterline al BBC World Service, per contrastare disinformazione e cattiva informazione, costruendo e allargando il pubblico internazionale dell’emittente nazionale. Il finanziamento arriva poco dopo la pubblicazione di un documento del governo che sottolineava la necessità di contrastare la disinformazione per proteggere la Gran Bretagna da minacce straniere.

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