Blog NET NEUTRALITY – Henry Kissinger, il potere è il massimo afrodisiaco

Burattinaio e guardiano, a 100 anni scompare colui che ha tirato le fila dei destini della politica internazionale dalla fine degli anni ’60 ad oggi

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2 dicembre 1968, durante una conferenza stampa a New York, il neo presidente statunitense Richard Nixon nomina Henry Kissinger consigliere per la sicurezza nazionale. 22 ottobre 1970, a Santiago viene ucciso il capo dell’esercito cileno René Schneider, in seguito ad un tentativo di rapimento sostenuto da Nixon e Kissinger, in collaborazione con gli apparati di sicurezza cileni e finalizzato ad arginare il comunismo nel Paese sudamericano. 27 gennaio 1973, a Parigi viene firmato il trattato di pace in Vietnam. Per questo motivo Henry Kissinger sarà insignito del Premio Nobel per la pace. Un ebreo tedesco si americanizza con la sua esperienza nelle forze armate e arriva a studiare ad Harvard, cosa impensabile prima di lui per un uomo con le sue origini. È tra quelle persone che più incarnano la parabola del sogno americano, diventa consigliere di ben sei Presidenti americani, ricoprendo anche per alcuni anni la carica di Segretario di Stato. Fosse nato sul suolo a stelle e strisce sarebbe potuto diventare Presidente. Nel 1957 Henry Kissinger pubblica un libro che attira l’attenzione di tutti gli addetti ai lavori, un bestseller che propone una nuova impostazione dei rapporti di forza: l’URSS ha ridotto il gap nucleare e si credeva erroneamente avesse spostato a suo favore l’equilibrio strategico sullo scacchiere mondiale.

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Il libro, intitolato “Armi nucleari e politica estera”, propone di superare la politica del contenimento di Truman, che prevedeva di contrastare la diffusione del comunismo in ogni angolo del mondo, come era successo in Corea, e quella di Foster Dulles, Segretario di Stato di Eisenhower, che ipotizzava addirittura la possibilità di una rappresaglia nucleare. In un’intervista alla televisione italiana, della prima metà degli anni ’60, è lo stesso Kissinger a spiegare i fondamenti del suo pensiero. Henry è proprio l’orecchio innato per la musica della storia, capace di trovare la formula della guerra nucleare circoscritta, limitata, che si ponesse, appunto, tra la rappresaglia massiccia e l’inazione. Il negoziatore che cerca sempre di adattarsi nel modo più efficace alle condizioni esistenti e allo stesso tempo considera pericolose le persone fortemente ideologizzate che cercano di modellare la realtà secondo i propri ideali. Apre alla Cina e semina discordia, nascondendo sempre la “mano”, tra Cambogia, Laos, Vietnam. Un prestigiatore affabulatore, per il quale non sempre è come credono le persone comuni che la morale possa essere applicata alla condotta degli Stati verso altri Stati, alla stregua delle relazioni umane. Il pensiero appare chiaro se riferito alla pressione esercitata dagli Stati Uniti nei confronti di alcuni Paesi latinoamericani negli anni ’70 per eliminare il pericolo rosso.

È l’operazione Condor del 1975, orchestrata dall’amministrazione Nixon, e vede coinvolti i vertici della CIA con quelli dei regimi dittatoriali sudamericani: Paraguay, Brasile, Argentina, Bolivia, Cile, Perù, Uruguay. L’obiettivo ufficiale della repressione sono le fazioni guerrigliere, ma in realtà essa si accanisce contro ogni opposizione sociale e politica, sequestrando e torturando sindacalisti e uomini schierati, studenti, operai, colpendo anche i loro familiari. Ostacolare qualsiasi deriva a sinistra era da sempre un punto fermo della politica estera di Kissinger. Salvador Allende ha rappresentato ovviamente l’apoteosi, il caso più eclatante. Nel 1998, dopo l’arresto di Pinochet, il Governo americano rende pubblici i documenti di un piano della CIA, supportato da Kissinger per rovesciare Allende. Rapire il generale cileno René Schneider, dare al colpa ai comunisti, fomentare i disordini nel Paese, promulgare la legge marziale, annullare le elezioni. Il golpe non riesce, ma Kissinger non demorde. Il generale René Schneider, fedele alle istituzioni, viene crivellato di colpi nel 1970, sarà il primo passo per arrivare a far crollare il governo. Secondo Kissinger la pressione su Allende doveva essere costante per limitarne il consolidamento e la capacità di implementare politiche avverse agli USA.

Non esistono prove del coinvolgimento della CIA nel colpo di Stato in Cile del 1973, anche se Nixon chiederà al suo consigliere se la mano degli Stati Uniti fosse rimasta occultata. Quattro giorni dopo la morte di Salvador Allende, Henry Kissinger rispose che gli USA certamente non avevano fatto loro il golpe, ma sicuramente avevano reso tutto più facile affinché ciò potesse accadere, creando le migliori condizioni immaginabili e poi aggiunse: “Fossimo ancora ai tempi di Eisenhower, io e lei, presidente Nixon, saremmo considerati due eroi…”. La macchia nera del cinico spregiudicato politico, criminale di guerra, fagociterà definitivamente l’immagine di Kissinger, quando probabilmente invece si potrebbe trattare, ancora una volta, di un uomo ed intellettuale terribilmente convenzionale e perfettamente in linea con i suoi tragici tempi. Sarebbe da leggere assolutamente “Come luglio per sempre”, di Tim O’Brien, al di la dei tanti riferimenti letterari sul personaggio pubblico e uomo, per ricostruire meravigliosamente anche l’atmosfera di quegli anni in cui la realtà prenderà definitivamente il sopravvento su quel sogno americano così tanto sbandierato e agognato. Aveva compiuto cento anni a maggio, morto alcuni giorni fa in Connecticut: una lunga vita segnata dalla politica e da un modo nuovo e discusso, secondo alcuni, di intendere la diplomazia.

Una vita vissuta fra due secoli e due interpretazioni del mondo, caratterizzate da visioni bipolari, prima, e multilaterali, oggi. D’altronde Kissinger non ha difeso tanto l’ordine occidentale basato sulla democrazia, bensì l’occidente come incarnazione del capitalismo razziale, che sono due cose totalmente diverse. È stato un degno partecipante, probabilmente un determinante fautore, del cosiddetto “Imperialismo del Novecento” e del nostro ventunesimo secolo. Per andare ancora più a fondo, da sottolineare la recentissima edizione Alegre di “Black Marxism” di Cedric J. Robinson, un testo del 1983, per trovare altri chiavi di lettura sul concetto di imperialismo, sulla sedimentazione nei secoli delle lotte degli afroamericani e sulla supremazia razziale che ha segnato il capitalismo mondiale. Il libro attraversa la tradizione radicale nera, portatrice di un’alternativa a partire dall’opposizione non solo quella afroamericana, anticipando tutta una serie di concetti imprescindibili, soprattutto sulla nascita del capitalismo razziale dalla fine del Medioevo ai giorni nostri.

Si attribuisce a Kissinger la celebre frase “il potere è il massimo afrodisiaco”, l’altra faccia de “il potere logora chi non ce l’ha”; d’altronde l’ex Segretario di Stato è stato anche un personaggio della mondanità newyorkese in particolare, spopolando sul grande schermo, interpretato in diverse pellicole. Da La Pantera Rosa sfida l’ispettore Clouseau di Blake Edwards, con Byron Kane, agli Intrighi del potere di Oliver Stone, con Paul Sorvino, fino all’esilarante scena ne I Simpson, in cui Henry Kissinger, visitando la centrale nucleare, fa cadere inavvertitamente i propri occhiali nel water e lascia credere a tutti invece di averli dimenticati in macchina, perché colui che avrebbe gettato le basi per il Trattato di Pace di Parigi, non poteva perdere la faccia per un banale ed imbarazzante incidente. Ma probabilmente quella di Frank Novak in Watchmen è l’interpretazione che resta maggiormente impressa: Kissinger è mostrato in una versione ambigua, volutamente sfuggente, dal tratteggio decisamente caricaturale, rievocando la Washington War Room del Dottor Stranamore.

A proposito, il fantasma anticomunista Heinz Alfred Kissinger sarebbe stato avvistato in diversi altri posti, anche dietro al Dottor Stranamore di Stanley Kubrick, ipotesi di grande fascino ma alquanto azzardata in questo caso, essendo del 1964 il film e in quegli anni il Machiavelli d’America era “semplicemente” un professore, se pur prestigioso, di Harvard. Chissà invece cosa sarebbe stato il Kissinger di Alberto Sordi, progetto mai realizzato se pur nelle intenzioni dell’attore, che aveva pensato all’amico sceneggiatore Sergio Amidei e alla regia di Billy Wilder. Un pò Metternich, un pò Telleyrand, il Kissinger di Sordi avrebbe tirato le fila dei destini del mondo. Nella “realpolitik” degli interessi dei potenti, Henry Kissinger è stato quindi un pò guardiano, un pò burattinaio, considerato vecchio amico del popolo cinese un Superman con la K sul petto e sotto quella lettera sacrificava i diritti umani nelle sue grandi manovre, bombardava segretamente la Cambogia durante il conflitto in Vietnam, dava il via libera agli eccidi del Pakistan in Bangladesh nel 1971, favoriva l’invasione di Timor Est da parte dell’Indonesia nel 1975, di contro però è stato accusato di scarsa fedeltà ideologica dai suoi colleghi repubblicani.

Insomma, al gioco dello schiaffo non sarebbe mai andato sotto. Quando in Forrest Gump, il protagonista, con la nazionale statunitense di ping pong, nel 1971 va a Pechino per affrontare i maestri cinesi, l’idea di organizzare questo storico incontro fu di Kissinger, delineando l’essenza del suo pensiero eccentrico e carismatico: il linguaggio internazionale del capitalismo razziale è per la creazione di uno spazio di continuità e avvicinamento, l’abolizione della distanza e l’instaurazione di uno scambio serrato o confronto, ma senza eliminare la rete di mezzo sul tavolo dei negoziati. Si tratterà di cercare di creare un linguaggio soppesato e calibrato, frutto di esercizio, studio e tecnica e a ben vedere, lo spazio lasciato all’improvvisazione sarà decisamente inferiore rispetto a quello che potrebbe sembrare a prima vista, perché l’ossimoro per eccellenza “SuperKraut” sapeva bene dove sono sepolti i cadaveri.

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