Blog NET NEUTRALITY – Rombo di Tuono. Gigi Riva, l’ultimo dei Mohicani

Gigi Riva, morto a 79 anni, ha reso possibile l’incontro tra Epica ed Etica, trasmigrando da uomo a profeta, raccontando con i suoi silenzi che un goal può gonfiare gli occhi e scuotere coscienze

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Quando Gigi Riva tornerà, non ci troveranno ancora qua, con la vita in fallo laterale e il sorriso fermo un po’ a metà, tornerà la voglia di sognare, quando Gigi Riva tornerà. Quando Gigi Riva tornerà, torneremo tutti in serie A, dopo tanti calci di rigore, troveremo insieme l’umiltà, per ricominciare con più cuore, quando Gigi Riva tornerà…”. Versi tratti dal brano, “Quando Gigi Riva tornerà”, di Piero Marras. Con la voce tra Pierangelo Bertoli e Roberto Vecchioni, pseudonimo di Pietro Salis, il cantautore e polistrumentista nuorese, scrive questo pezzo per il doc del 2022 di Riccardo Milani, Nel nostro cielo un rombo di tuono, suonato anche ai funerali del sardo d’adozione, morto d’infarto a 79 anni. Proprio in queste parole, Gigi Riva trasmigra da uomo a profeta, praticamente a Dio risorgente.

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L’icona-Riva supera la sua strepitosa vicenda, sportiva e umana. Epico personaggio che si fa allegoria. Del riscatto del più debole, della vittoria portata a chi, e dove, non si vince mai. Poi se dici no ai quattrini, a cifre impensabili, ad offerte faraoniche di club più blasonati, per scegliere la fedeltà a una idea, la sua presenza abbagliante e silente, si staglia, ritta, nelle coscienze di tutti e le scuote come vento che freme, cresce e diventa rombo. Un rumore cupo e fragoroso che prima o poi risuona nell’anima. “Si sentiva il vento fremere a intervalli, poi il suo rumore cresceva, si avvicinava, diventava cupo e fragoroso come un rombo di tuono”. Parole scritte da Grazia Deledda, non per Gigi Riva, ma è come se lo fossero, da cui Gianni Brera estrapola quel soprannome che scuote la terra, brucia l’erba, è tellurico e biblico insieme. Un epiteto paragonabile a quelli di Omero.

Un pò Zdenek Zeman, un pò Clint Eastwood, un pò Paolo Conte, della migliore specie, elegante, taciturno, empatico, devastante in azione, colmo di gratitudine inestinguibile nei confronti di un popolo e di una terra che non ha più abbandonato. Quando parlare di Sardegna significava parlare di Anonima Sequestri o Costa Smeralda, industrializzazione selvaggia, spopolamento delle aree interne, chiusura delle miniere, morte progressiva della pastorizia. Gigi Riva con le mani e la faccia nera nelle miniere del Sulcis, insieme a quei lavoratori che, consumata la tornata elettorale di turno, sarebbero stati abbandonati a sé stessi. Neanche uno spot televisivo, una comparsata mediatica, se pur insistentemente proposta, vedi Franco Zeffirelli che gli offrì un cachet milionario per interpretare il ruolo di San Francesco in Fratello sole, sorella luna. Sardo subito!!! Da Leggiuno, provincia di Varese, prenderà il posto definitivamente di Sant’Elia e di sicuro intitoleranno a lui lo stadio di Cagliari, come Napoli ha fatto con San Paolo che ha ceduto il posto a Diego Armando Maradona. Anche Raffaella Carrà aveva perso la testa, dedicandogli a “Canzonissima” una canzone dal titolo “Forza Gigi Riva”: “Sei troppo bello, sei travolgente, classico Dio Greco in short…”. Un “hombre vertical” secondo Osvaldo Soriano, schivo, ombroso, spesso a contatto con la depressione, sardo tra i sardi, uomo tra gli uomini. Avesse dovuto pagare per giocare a calcio, lo avrebbe fatto.

Nel doc di Riccardo Milani, appare in una nuvola di fumo seduto in poltrona con la sua inseparabile sigaretta tra le dita: “Pensa mai al passato?”, gli si chiede, così torna alla mente Una storia vera di David Lynch, quando al protagonista una gruppo di ragazzi domanda quale sia la cosa più negativa della vecchiaia: “Il ricordo di quando si è giovani…”. Poi se a nove anni perdi il papà per un incidente sul lavoro e la mamma di cancro qualche anno più tardi, vivi tre anni durissimi in collegio, in cui sei pure costretto a cambiar mano, dalla sinistra alla destra, ringrazi la sorte che gli stessi educatori non sapessero di calcio e di quel sinistro tuonante, appunto. Trentacinque goal in quarantadue partite in Nazionale, record ineguagliabile, tricolore con il Cagliari e vice campione del mondo in Messico, sempre nel 1970, appunto. Il destino ha voluto che la morte lo portasse via proprio in contemporanea con la finale di Supercoppa italiana disputata in Arabia Saudita. Nel giorno dei mercenari, in cui il calcio italiano si è venduto al migliore offerente, ai petroldollari, allo “sportwashing”. E come una sorte di legge del contrappasso, il minuto di silenzio è stato fischiato dai figuranti sauditi, perché usanza non incline alla loro cultura. È paradossale che si accettino quantità incredibili di denaro da parte di chi, evidentemente, stima la cultura occidentale e cerca per il suo tramite di far conoscere nel mondo la propria, e poi – dopo aver portato con sacrifici non indifferenti il proprio gioco culturale per definizione (il calcio) in quella parte del mondo – ci si chiuda a riccio per paura di contaminazioni pericolose.

Quindi il deserto nelle cattedrali vorrebbe essere una richiesta di incontro, apertura, accoglienza reali, oltre i confini esclusivamente affaristici, dove sei costretto a costruire e non esclusivamente spingere lo spettatore, quale consumatore, nel ramificato albero delle possibilità narrative in una maniera prestabilita per ottenere la sua adesione al messaggio, al risultato finale. Il deserto nelle cattedrali invece potrebbe essere soltanto un inevitabile ritorno al futuro, appena la coppa sarà alzata al cielo. E gli imperi della modificazione comportamentale potranno allontanarci definitivamente dal caloroso vecchio mestiere del racconto, dell’ascolto, della visione senza persuasori virtualmente occulti e in pantaloncini. Gigi Riva di virtuale invece aveva soltanto la sigaretta perennemente in bocca, analogico fino al midollo, bisognava cercarlo per le strade della città adottiva, era l’unico modo, quella stessa strada dove il gioco del calcio ha preso vita. “La domenica canticchio una canzone, mi preparo a disegnare la poesia del mio pallone. Tocco il cielo quando ho il sinistro in volo e il mio nome si è legato a questa gente… io sono legato a questa gente che ha la semplicità di un goal…”. Il pezzo della cagliaritana Chiara Effe è dedicato al numero magico di quella maglia che Gigi Riva regalò a Fabrizio De André, altro figlio adottivo con il quale trovò la dimensione del viaggio esistenziale nel silenzio. Con l’Alfa 1.6 ha abbattuto i confini, girando in lungo e largo l’isola, perché le vere isole sono quelle che apriamo dentro di noi e il mare che ci separa da esse lo dobbiamo colmare con le nostre verità. Durante questa finale di Supercoppa ho chiesto a mio padre di 83 anni, tifoso del Napoli e devoto a “El Diez”, che ricordo avesse di Gigi Riva. Lui mi ha guardato, ha abbozzato un sorriso, sollevato per un attimo lo sguardo al cielo e sospirando, è rimasto in silenzio, un altro, pur se già gonfi erano gli occhi.

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