CANNES 64 – “Les bien-aimés”, di Christophe Honoré (Film di chiusura)

les biens aimes
Ancora nel segno della Nouvelle Vague, del musical di Demy, ma soprattutto con i segni e la gioia del cinema di Truffaut. Forse il progetto più ambizioso del regista francese, talvolta disequilibrato nel mostrare le affinità sentimentali con l'estraneità dello spazio ma soprattutto un flusso ininterrotto e struggente, quasi un film di 'baci rubati', triste e allegro

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les biens aimesComincia nel segno di François Truffaut con le gambe di L'uomo che amava le donne e le scarpe e il negozio di calzature di Baci rubati. Christophe Honoré, dopo Dans Paris e Les chansons d'amour ancora nel segno della Nouvelle Vague con in più la Deneuve che arriva dai musical di Demy degli anni '60. Si tratta forse del progetto più ambizioso del cineasta francese, una carrellata di 45 anni, dal 1963 al 2008, che vede protagoniste due donne, Madeleine (interpretata da Ludivine Sagnier quando è più giovane e poi da Catherine Deneuve) e sua figlia Vera (Chiara Mastroianni), entrambe assetate di desiderio ma in qualche modo fedeli alle loro storie d'amore. Da Parigi a Praga, da Londra a Montreal, Les biens-aimés stavolta va oltre la metropoli francese e le corrispondenze private s'incrociano anche con la Storia (l'arrivo dei russi in Cecoslovacchia, l'11 settembre) creando talvolta qualche disequilibrio nel mostrare le affinità sentimentali con l'estraneità dello spazio. Ma al tempo stesso il film è un flusso continuo, ininterrotto e struggente, come il ritorno di Madeleine sui luoghi della memoria in cui rivede, quasi dialoga e ritrova il suo passato, nell'appartamento dove abitava da giovane e nell'albergo che è luogo ricorrente di incontri con il medico cecoslovacco, interpretato nell'età più adulta da Milos Forman. Inoltre mette in gioco squarci di vita familiare, Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni, madre e figlia nel film come nella vita, filma l'amore e la morte con una potenza emotiva devastante dove però non c'è nostalgia (tranne nel finale) per ciò che è stato, ma si avverte di più la necessità di catturare quei momenti di felicità effimeri, di farli durare più a lungo possibile, forzandoli anche nella loro estensione. La continuità frantuma le distanze geografiche, come nel momento in cui Vera si trova prima vicino al capezzale del padre e poi a Londra in cui conosce il musicista gay. Nessuno scompare, tutti ritornano, come lo stesso Louis Garrel, in una ronde infinita, nei giri continui di una giostra che, nella sua complessità, ogni tanto è anche inevitabile che s'inceppi, ma in cui si vuole salire ogni volta, magari proprio partendo dai piedi, quasi segno di un cammino inizio/fine, ma dove si può ancora riprendere. Una famiglia cinematografica, quella di Honoré, non dissimile nel rapporto attore/luogo al cinema di Robert Guédiguian. Due film diversissimi, Les biens-aimés e Les neiges du Kilimandjaro, ma entrambi di incredibile vitalità, una realistica, una artificiale. Honoré va oltre il musical, oltre il passato. Crea il set la storia ma ogni impennata sembra quasi catturata dal vero, anche quelle cantate. Film quasi di baci rubati, triste e allegro. Lo schiaffo di Chiara Mastroianni a Louis Garrel e il sorriso successivo dell'attore prima di entrare in classe sono ancora delle gioie truffautiane. Speriamo che stavolta in Italia si accorgano del regista (di cui in sala è uscito solo Ma mère nel 2004) e che questo film sia distribuito in sala.

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    2 commenti

    • persogiàdisuo

      Spero anch'io che venga distribuito (forse la notorietà della Deneuve e di Forman aiuteranno): ho visto tutta la lunga filmografia di questo giovane autore e l'ammiro moltissimo per la sua coerenza e coraggio.

    • Anche io lo stesso… uno dei miei registi francesi preferiti degli ultimi anni, e qui in Italia non se ne sente proprio parlare! Peccato!