FILM IN TV – Omicidio a luci rosse, di Brian De Palma

Omicidio a luci rosse

Il grande autore americano descrive precise traiettorie dello sguardo, ma poi ribalta ogni certezza ponendosi dentro e fuori i meccanismi codificati, così come sempre fa il suo cinema, serissimo nelle intenzioni, eppure mascherato da divertito gioco cinefilo. Sabato 11 Gennaio su Studio Universal alle ore 22.40.

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Omicidio a luci rosseA vedere quell'incipit fra tombe nebbiose deputate a rivelare il vampiro di turno, viene subito voglia di collegare Omicidio a luci rosse a Lo specchio di Martin Scorsese (l'episodio della serie Storie incredibili) e a Thriller di John Landis. Per l'insistito richiamo alla tradizione dell'horror gotico, ma anche per come crea un'eventuale connessione fra i talenti della New Hollywood, che alla metà degli anni Ottanta lavoravano il sistema dall'interno, in un gioco di rimpalli efficacissimo. Un paradosso strano a pensarci, che implicherebbe il dover iscrivere il cinema di De Palma nella sua contemporaneità, laddove in tanti lo hanno sempre considerato soltanto il prodotto di un regista cinefilo e quindi distaccato dalla contingenza delle epoche che si è trovato ad attraversare.

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In effetti, ciò che ancora oggi rende efficacissimo il confronto con questo geniale autore è proprio la sua tendenza a essere dentro e fuori gli ambiti in cui la sua arte naturalmente si pone. Si provi ad esempio ad ascoltare qualche sua intervista: non lo si sentirà citare Hitchcock o qualche nume tutelare del passato, i suoi discorsi non si incentreranno sulle tecniche usate per realizzare momenti memorabili come quello in cui Craig Wasson incontra Melanie Griffith sulle note di Relax dei Frankie Goes to Hollywood (mentre la macchina da presa costruisce e allo stesso tempo smonta, rivelandola, la finzione del set). Al contrario, i suoi discorsi saranno tutti incentrati su un'idea di cinema incredibilmente concreta e morale rispetto alla società e al comportamento dell'uomo.

 

Il che significa che mentre gioca a rifare Hitchcock, mentre cita La finestra sul cortile e La donna che visse due volte, Brian De Palma ci disorienta: così come il suo film descrive precisissime traiettorie dello sguardo, ma in realtà poi ribalta ogni nostra certezza scambiando i ruoli e i corpi sin dal titolo originale (“Body Double”), allo stesso modo fa con la sua autentica direttrice d'autore. Che è seria, serissima, è quella che mette al bando la disumanità delle dinamiche hollywoodiane, dove l'esibizione artistica del falso nasconde i drammi del vero. Pensateci: questo thriller a tinte rosse in fondo non motiva nemmeno le azioni del killer di turno, perché in fondo la stessa struttura del whodunit è l'ennesimo artificio gettato in faccia allo spettatore, per attrarlo, certo, per divertirlo e interessarlo, ma in ultima istanza per lavorarlo dall'interno e produrre una claustrofobia simile a quella che assale Wasson. Che è un “double” di quella che frenava James Stewart nel già citato La donna che visse due volte, ma è anche il segno della sua più disperata caducità, quella che lo sbatte fuori dal sistema rivelandone l'ineluttabile natura di uomo prima che di attore.

 

Anche per questo, il meccanismo che pure potrebbe apparire così datato nelle scelte cromatiche, nei corpi diafani e nelle partiture musicali, riesce ancora a riproporsi con un'urgenza che manca a tante opere coeve. E' l'urgenza di quella serietà che De Palma maschera dietro il sorriso del cinefilo manierista, fino ai titoli di coda che svelano il “trucco” che apriva l'altro suo titolo che aveva aperto gli eighties, il non meno divertito Vestito per uccidere: e il gioco delle connessioni continua…

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