Hollywoodgate, di Ibrahim Nash’at

Un documentario prezioso sui talebani che scava nella parte oscura di una pagina della storia recente e a tratti è senza fiato. VENEZIA80. Fuori Concorso

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Si è ancora di fronte ad un altro esperimento che svela segreti. Ancora una volta, il cinema, diventa testimone d’accusa, dimostrazione di una radicalità assoluta nel raccontare la faccia segreta e oscura di una condizione, di un pezzo della storia che ci appartiene. Un racconto che sembra cominciare come una adulazione al regime, ma che non sa tradire la sua autentica natura e diventa materiale prezioso, reperto imprevisto per inchiodare ciascuno alle proprie responsabilità
Ibrahim Nash’at prende accordi con i talebani che dall’agosto 2021 sono tornati a governare, con le loro leggi proibizioniste, l’Afghanistan, per filmare ciò che gli è consentito, ciò che è possibile, per lasciare traccia di una transizione militare dolorosa e del tramonto di ogni speranza per il Paese.
Riprese sempre controllate, mirate a mostrare la pacata violenza del linguaggio che sembra scorrere sotterranea anche quando il cinema riprende i momenti più pacati della quotidianità. Poi si arriva a Hollywoodgate uno dei luoghi dove gli americani avevano una loro base, anzi forse era una base della CIA. Lasciando il Paese hanno anche reso disponibile nell’immenso luogo, attrezzature militari costose e preziose, aerei, intere palestre con tanto di attrezzi in ottime condizioni. Di tutto questo ricchissimo armamentario se ne appropriano i talebani nutriti quindi e foraggiati da chi li avrebbe dovuto combattere. È in questo clima che la macchina da presa dell’egiziano Ibrahim Nash’at diventa testimone di quell’accusa sottile e invisibile, deducibile a contrario dalle immagini autorizzate o più raramente rubate. Immagini che portano con sé, testimoniandolo al mondo, un’arroganza del potere e uno strapotere che alimenta quell’arroganza. Immagini ravvicinate e quasi geneticamente nate per essere esclusive, non riferibili ad altro. Ma che sanno restituire la fragilità di un sistema bellico di presunto supporto alla democrazia, dimostrando il fallimento non solo militare, ma anche morale di dell’intervento bellico.
Hollywoodgate diventa così un altro racconto di brutalità alimentata da un occidente presuntuoso e incapace di prevedere le conseguenze dei propri comportamenti, o, peggio di non avere alcun interesse per quelle prevedibili conseguenze.

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Ibrahim Nash’at scava nella parte oscura di una pagina della storia recente e trae un film a tratti senza fiato, sul filo di una precarietà che si manifesta nelle parole degli stessi capi Talebani che si concedono alle immagini del regista. L’immensa pianura che dall’areo si stende a perdita d’occhio diventa il teatro attonito di una violenza quotidiana che ammorba il Paese, ma che si insinua in quelle vene del mondo che scorrono sotterranee e invisibili. Le radiografie del cinema sembrano metterle in luce ancora una volta lasciandoci, di nuovo, sconcertati.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
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