"I colori della passione – The mill and the cross", di Lech Majewski


Per dare vita al dipinto di Bruegel, La Salita al Calvario, il regista polacco Lech Majewski non lavora contro l’immobilità, ma dentro di essa. Tableux vivants, composizioni fra ripresa dal vivo e immagini dipinte… eppure la magia del film, più che nello sforzo sul tessuto del visivo, risiede nella capacità di infondere un senso di trascendenza a gesti quotidiani umili e concretissimi

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Nel raccontare la realizzazione della grande tela di Bruegel, La Salita al Calvario, l’artista e regista Lech Majewski lavora in un territorio di confine fra cinema narrativo e videoarte. Animato dall’ambizione di spingere lo sguardo sia dentro il dipinto che all’interno del suo processo creativo, il film cerca il punto di sutura fra elementi difficilmente conciliabili quali la qualità fotografica e quella pittorica dell’immagine e l’opposizione fra stasi e movimento. Il primo contrasto viene risolto attraverso una stratificazione visiva che compone riprese dal vivo e riproduzioni del dipinto, in cui l’utilizzo della computer grafica convive con una ricerca certosina delle location più adatte per caratteristiche cromatiche. Il risultato, che ha richiesto tre anni di lavoro (e che ricorda in parte gli esperimenti di Rohmer in La Nobildonna e il Duca), crea un senso di sospensione spazio-temporale dei personaggi che a tratti sembrano galleggiare nell’ambiente, abitanti inconsapevoli di una video installazione. Il problema dell’immobilità invece non viene aggirato, ma esibito in sontuosi tableaux vivants, brillanti arazzi in cui il mondo contadino che circonda Bruegel (interpretato da Rutger Hauer) si pietrifica a beneficio dell’occhio del pittore.

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Anche sul piano narrativo il film cerca di entrare in risonanza con l’universo del quadro: le vite dei personaggi che posano per il pittore sono descritte come una teoria silenziosa di gesti quotidiani ed umili, immerse in un profondo silenzio. Solo la violenza dell’invasore spagnolo riesce a intaccare questo mondo rarefatto, che Majewski racconta con il senso della minuzia propria dei pittori fiamminghi. Forse è qui la vera magia del film, più che nello sforzo esercitato sulla costruzione dell’immagine; nella capacità di imprimere un senso di trascendenza a realtà concretissime e all’apparenza insignificanti (anche dal punto di vista estetico). Allo stesso modo il programma di Bruegel è quello di ambientare la passione di Cristo nel mondo a lui contemporaneo, di cui evidenzia l’indifferenza per la tragedia in corso, speculare all’incapacità del suo popolo di reagire alla persecuzione cattolica.

All’interno di un progetto estetico così spiccatamente intellettuale non stupisce che a essere sacrificata sia la capacità di agire dei personaggi principali. Non attori, ma testimoni della Storia, che siano il mercante colto indignato per la sorte del suo paese (Michael York) o Maria (Charlotte Rampling) che piange il figlio torturato. Lo stesso Bruegel non è che un artista-intellettuale, un osservatore che raccoglie quello sdegno e quel patimento e li fissa in un attimo eterno. È probabile che il regista si identifichi con la minuziosità dell’artista e con la sua capacità di organizzare le immagini in simboli. Raramente al cinema la “trama” di un dipinto, il suo universo concreto e simbolico, è stata sviscerata con tanto rigore. Ma sicuramente la “passione” cui allude il titolo italiano non è da riferirsi a un eventuale furore creativo del grande pittore, e può essere invece interpretata solo in senso cristologico. Nell’afflato mistico che scorre sulla parte finale del film, la stessa natura creatrice dell’artista sembra trasfigurare in una concezione dell’arte come testimonianza, intesa in un senso propriamente religioso.

Titolo originale: The Mill and the Cross
Regia: Lech Majewski
Interpreti: Rutger Hauer, Charlotte Rampling, Michael York, Joanna Litwin, Dorota Lis, Oskar Huliczka, Marian Makula
Origine: Svezia, Polonia, 2011
Distribuzione: CG
Durata: 92'

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    2 commenti

    • tina bonavoglia

      mi sono trovata difronte a una storia non detta ma ampiamente rappresentata.
      Tuttavia difronte alla storia della crocifissione del Cristo si ricorre alla narrazione di quello che avviene intorno in quel tempo e che a mio avviso è molto più triste dell'atto della crocifissione. Ho trovato il film privo di anima e di sentimenti.

    • un bellissimo racconto che suscita il desiderio di ripassare la storia dei soprusi nel nome della religione