“Il Dittatore”, di Larry Charles
L'andatura filmica è quella di Borat e Bruno, l'andatura deambulatoria è simile a quella del gendarme in Hugo Cabret, meno zoppicante semmai, ma sempre militaresca, con una leggera tendenza claudicante, a segnare il passo, di un personaggio forse ormai privo di respiro. La pazzia di Sacha Baron Cohen è la dipendenza, bella malattia a volte, dipende ovviamente, dipendenza dal voler stare fuori dalle righe, piuttosto che sopra le righe
Ma se John C. Reilly (qui presente con una piccola parte) o magari Will Ferrell (vedi Ricky Bobby, per esempio), sembrano dotati di una naturale predisposizione a sciogliere quelle stesse righe con un secondo di anticipo sul cut/comando, Sacha Baron Cohen è ancora impelagato di superflua peluria strutturale e promozionale fuori/set, immortalato su uno yacht a Cannes, in compagnia di spalmatrici di oli e creme, tanto per lubrificare il passo cigolante. Dovrebbe uscire, espatriare, smetterla di rifare la parodia della parodia, Scary Movie di Scary Movie, riciclo del riciclo, sballottando Anna Faris nel suo incubo più ricorrente: farsi leccare le ascelle pelose, durante l'amplesso dopo il primo, secondo, terzo, quarto saccheggio ridicolizzante. Una risata (forzata) ci seppellirà, ne basterebbe una sola, agognato miraggio nel devitalizzato citazionismo più o meno esplicito (ma l'ultima scena si consegna a Nell'occhio del mirino?… e così via). Sacha Baron Cohen è immobile in fondo, non circola irriverente, è un corpo consegnato alla “performance” propriamente detta, che sembra aver congelato l'azione nel movimento e la progressione del tempo. Va capito o fondamentalmente visto? Cede alla retorica, non tanto quando esprime il disastro della politica occidentale, ma soprattutto quando prova a manipolare il sistema della presentazione e quello della rappresentazione alternativamente o anche simultaneamente nella stessa scena (vedi Megan Fox che interpreta una escort ambita dai potenti del pianeta). Il Dittatore è un anti-icona, “presenza” cinematografica di “assenza”, in cui nemmeno le meccaniche della rappresentazione (è cinema, è provocazione in immagine, è perversione di immagine) non sono chiaramente riconoscibili. Più che in un set cinematografico, il corpo dell'attore inglese sembra rinchiudersi in un ring, come un “wrestler” assetato di esibizionismo, recitante la parte dell'irriverente per forza, acrobata che sfugge ai veri colpi, non con la vocazione al sacrificio dell'inossidabile Mickey Rourke, ma con la dipendenza alla provocazione, rievocante Andy Kaufman in calzamaglie, a sfidare il sesso (o pensiero) debole, di Man on the Moon. Ma Jim Carrey era fuori dal tempo, Sacha Baron Cohen, che parte prima dei suoi avversari ai blocchi di partenza di una fantomatica corsa sprint, leggermente fuori tempo.
Regia: Larry Charles
Interpreti: Sacha Baron Cohen, Anna Faris, John C. Reilly, Ben Kingsley, Megan Fox, Erik Avari
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 105’
Origine: USA, 2012
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Una recensione più comprensibile no??