Il paese delle persone integre, di Christian Carmosino Mereu

Il documentario racconta con impareggiabile coinvolgimento la rivoluzione in Burkina Faso, rischiando di perdersi quando la dinamica da collettiva si fa individuale. Giornate degli Autori

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Quando esplodono i primi fumogeni e fischiano le prime pallottole, il regista de Il paese delle persone integre Christian Carmosino Mereu scende di corsa dal tetto del chiosco da cui osservava la piazza. I manifestanti che prima erano diretti al parlamento del Burkina Faso nel 2014, chiedendo la deposizione del dittatore Blaise Compaoré, invertono la rotta. La macchina da presa continua a girare mentre Carmosino scavalca una rete, quando lui e altri manifestanti si stanno riprendendo dai lacrimogeni, mentre un mercenario viene inseguito e gira l’angolo con l’unica prospettiva di essere linciato dalla folla.

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Lo sguardo di questo documentario, presentato nelle Giornate degli Autori della 79a Mostra del Cinema di Venezia, non è esterno, non si solleva in maniera giudicante dai rischi della rivoluzione: vi partecipa. Per l’inquadratura passa così l’euforia quasi carnevalesca del sistema che crolla, quell’atmosfera sospesa nella quale tutto diventa improvvisamente possibile. Compresa la violenza, mostrata con la distanza necessaria per tenersi lontano sia dalla superbia di bollarla sempre sbagliata sia dalle giustificazioni fin troppo generose.

L’obiettivo, spinto graffiato nascosto, assume pian piano lo stesso valore di un’arma da fuoco. D’altronde, nascosto in piena vista nei cortei e nelle guerriglie c’è un conflitto puramente simbolico e altrettanto importante. Senza un sistema condiviso di simboli e icone, sembra suggerirci Il paese delle persone integre, nessuna rivoluzione sarà mai in grado di trovare il suo innesco. Sembrano capirlo in maniera istintiva tanto le figure cardine del documentario, che trovano nella musica l’esperanto rivoluzionario, quanto la popolazione burkinabé, che al calare della rivoluzione ripulisce collettivamente le strade ma lasciando intatte le macerie del parlamento.

Il paese delle persone integre, allora, anche concluse le rivolte, rimane vicino ai suoi soggetti, seguendoli in un nuovo e più scivoloso fronte. È lì che si svolge la battaglia più difficile, la ricerca di una nuova unità sulle spoglie della vecchia, perseguendo una feconda rivoluzione del quotidiano. Un processo fragile, nel quale è facile perdersi cedendo alle spinte dispersive, cosa di cui forse soffre la seconda parte del film, nella quale la narrazione si sfilaccia incanalandosi su quattro percorsi individuali. Comunque, lo spirito del film e quello della popolazione burkinabé, nonostante gli ostacoli, non si spengono mai. Al massimo la loro fiamma si attenua, passando a brace, che sotto la cenere cova ancora scintille.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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