La vergine dei sicari, di Barbet Schroeder

Titolo originale: La virgen de los sicarios
Regia: Barbet Schroeder
Sceneggiatura: Fernando Vallejo
Fotografia: Rodrigo Lalinde
Montaggio: Elsa Vasquez
Musica: Jorge Arriagada
Scenografia e costumi: Monica Marulanda
Interpreti: German Jaramillo (Fernando), Anderson Ballestreros (Alexis), Juan David Restrepo (Wilmar), Manuel Busquets (Alfonso)
Produzione Margaret Menegoz e Barbet Schroeder per Les Films du Losange e le studio Canal +, Vertigo Films, Tucan Producciones Cinematograficas
Distribuzione: BIM
Durata: 97 minuti.
Origine: Francia/Colombia, 2000

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La divergenza di opinioni, anche frontale, sorta a proposito del film di Barbet Schroeder spiega meglio di tante parole l’intima conflittualità dell’opera. Chi si ferma all’aspetto allegorico del testo, con quell’aria pericolosamente magico-realistica, può infatti rifiutare in blocco La vergine dei sicari quando, al contrario, si tratta di uno dei film per i quali si può reinvestire l’abusato termine di “visionario”. La storia dello scrittore e del suo giovane amante colombiano, deambulanti per le strade di Medellin e coinvolti in terribili quanto surreali sparatorie, assume presto un’atmosfera da incubo che non viene più abbandonata per il resto del film. Metafora della prossimità tra vita e morte in un mondo che si crede civilizzato e invece viene dominato dalla violenza dei forti sui deboli? Brutale poesia sull’amore e sul vitalismo impastato di “thanatos”? Forse. Ma quello che più interessa è la radicalità del discorso sul cinema: Schroeder, irriconoscibile rispetto alla sua carriera “di mezzo” hollywoodiana, mantiene tutto il racconto in quella fertilissima terra che si situa tra realismo e anti-realismo senza che mai si riesca a decidere per l’uno o per l’altra. Così facendo, il regista evita ogni pericolo didascalico e conduce lo spettatore senza filtri nei gangli di un’opera viscerale come poche altre. A ulteriore conferma dell’attenta riflessione sui mezzi espressivi, si pensi che il film è girato in video digitale, così da destrutturare selvaggiamente il lato “apologico” e conquistare uno statuto da cinema diretto sempre contraddetto dagli avvenimenti. E’ forse la prima volta che non si usa il video per ottenere certificati di realismo (cfr. Blair Witch Project) bensì per insinuare contraddizioni sulla veridicità delle immagini e del significato che veicolano. Inutile sottolineare che i quotidianisti nostrani nemmeno si sono accorti della tecnica utilizzata e hanno stroncato il film per le ragioni più viete.

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