Le Vourdalak, di Adrien Beau
Tratto da un racconto di Tolstoj, un film che sa prendersi più di un rischio e diventa un bell’oggetto narrativo impreziosito da un attento lavoro sulla fotografia. VENEZIA80. Settimana della Critica.
Tratto da un racconto di Tolstoj, Le Vourdalak di Adrien Beau, al suo esordio nel lungometraggio, salda i temi di un’ambientazione di genere, che riflette le storie vampiresche dei Balcani settecenteschi, con un timbro visivo che gioca con i colori pastello e sgranati di certa pittura europea dell’epoca, con una labile vena ironica nel dialogo con elementi orrifici che sembrano uscire dalla visione di Tim Burton e con stili favolistici, quasi infantili, che sanno di racconto attorno al focolare.
Il malcapitato Marchese d’Urfè, dignitario della Corte del Re di Francia, in una notte cupa e tempestosa finisce ospite di una strana famiglia. In questa sua condizione dovrà giocoforza assistere ai riti e agli accadimenti che animano l’abitazione dei suoi ospiti. Scoprirà i Vourdalak, morti viventi assetati di sangue e condannati a masticare sempre.
Le Vourdalak è a suo modo anche un film che sembra stare fuori tempo sia per il suo minimalismo narrativo e d’impianto, sia per il modo di trattare la materia vampiresca, lontana da ogni convenzionalità tipica del genere e affidata più che altro alla crescente curiosità del personaggio del marchese improvvisamente catapultato in una dimensione sconosciuta e aliena. In questo senso il suo stupore misto a paura riflette quella crescente curiosità, tutta illuministica, per la diversità e il fantastico che fa ingresso nel più prosaico mondo reale.
Il minimalismo di Adrien Beau non scalfisce sotto alcun profilo la qualità del film, che sa prendersi più di un rischio a cominciare dalla storia che non garantisce molti colpi di scena. O segmenti narrativi più tipici del cinema horror o vampiresco e, in secondo luogo, per le modalità narrative tutte mai enfatiche o affidate ad effetti speciali e l’impianto scenografico che, forse per ragioni di budget, è ridotto all’osso, lasciando ampio spazio all’immaginazione che lavora dentro i luoghi bui dell’abitazione della anomala famiglia. È dunque il fascino del racconto ad avere il sopravvento su ogni altro elemento che appartiene alla tipicità del genere e il film sa amministrarlo con attenzione lavorando sui personaggi e l’istintiva curiosità che suscitano i suoi vampiri quasi burtoniani.
Su queste premesse Le Vourdalak diventa un bell’oggetto narrativo impreziosito da un attento lavoro sulla fotografia, che – come dicevamo – restituisce il senso dei dipinti dell’epoca rendendo ulteriormente godibile la visione del film.