#Locarno69 – Hermia & Helena, di Matías Piñeiro

Ricorda Hong Sang-soo, Piñeiro. Lo stesso sguardo divertito la stessa astrazione sociale che contraddistingue i suoi personaggi, assorbiti dalla ricerca di qualche personalissima chiave di senso.

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Un’amica torna, una parte. Teso tra Buenos Aires e New York, il quinto lungometraggio di Matìas Piñeiro procede ad incastri: incastri geografici, sentimentali, cronologici. I personaggi si cercano, si sfuggono, si scrivono. L’intreccio è mosso, nonlineare. In un gioco di flashback a fisarmonica, si ritorna sempre allo stesso punto di rottura: l’ultimo giorno prima della partenza della protagonista, dall’Argentina all’America, da una vita all’altra. Ma è un trucco.

La trama è esile, esilissima: Camila (Agustina Muñoz) vince una borsa di studio per un ritiro in un istituto artistico nuovaiorchese. Finisce nella stessa stanza dell’amica e compatriota Carmen (Marìa Villar), appena rientrata in Argentina. Di lì riprende vecchie relazioni, ne intreccia di nuove, ritrova un padre. Tutto succede a New York, ma appunto, il viaggio è un trucco: i flashback a fisarmonica rivelano che, per Camila, la partenza non è tanto uno spartiacque necessario, un rivolgimento del caso e della sorte, quanto piuttosto un cambio di scena sapientemente orchestrato e voluto.

La messinscena si muove in odore di screwball: dialoghi al fulmicotone, piglio sbarazzino, stilemi da commedia romantica. Il tono è lezioso a tratti – dissolvenze incrociate e sequenze di transizione riprese in camera-car – ma il controllo della messa in quadro si sente sempre, e non mancano soluzioni raffinate nella composizione dei corpi e nello studio delle soggettive.

hermia & helena 2Ricorda Hong Sang-soo, Piñeiro. Lo stesso sguardo un po’ divertito, e la stessa astrazione sociale che contraddistingue i suoi personaggi, tutti bohémien, tutti artisti, tutti assorbiti dalla ricerca di qualche personalissima chiave di senso. Lo stesso gusto, anche, per il tourbillon teatrale, per l’incontro casuale nella tradizione della commedia: Piñeiro guarda a Shakespeare, dichiaratamente – qui il rifermento esplicito è Sogno di una notte di mezza estate – ma viene quasi da pensare a Marivaux, per quel congegnarsi sottile di desideri e scelte. È quello, il motore ultimo dell’azione: la ricerca di qualcosa che rimane, comunque, sempre in mano ai protagonisti. Anzi, alle protagoniste.

Ecco, qui forse sta lo scarto rispetto a Hong Sang-soo. Camila briga, intriga e un po’ gira a vuoto, ma resta saldamente in sella al meccanismo drammatico. Architetta un ritorno di fiamma amoroso dopo un anno di silenzio assoluto, allaccia rapporti col padre biologico, prende il posto di Carmen in un paio di rapporti. Nessuna pozione amorosa, nessuna giostra impersonale e crudele, fossero anche le luci di New York. Camila sa e per lo più ottiene quel che vuole. Come Piñeiro.

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