"Ong Bak – Nato per combattere", di Phutchaya Pinkaew

Dal vertice del box office thailandese ai cinema europei "Ong Bak" riporta in auge il thriller d'arti marziali di una volta. Come nei film di Bruce Lee e Jet Li, grazie alla tecnica individuale di Tony Jaa, una pellicola scontata ma energica caratterizzata da azione sfrenata, ironia spicciola, combattimenti incessanti

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Il furto della testa di una statuetta sacra provoca il panico in un piccolo sobborgo rurale, devoto alla divinità raffigurata nel manufatto. I capi villaggio, incapaci di fronteggiare la siccità che sta attanagliando la popolazione, incaricano Ting, abilissimo nell'arte marziale muay thai, del recupero dell'idolo. Méta predefinita, la giungla urbana di Bangkok, dove tra risse clandestine, incontri improbabili (un ribelle combinaguai che è fuggito dal paesello per evitare un futuro monastico) e fughe rocambolesche la missione sembra oltre le capacità di un eroe troppo ingenuo. Come nel cinema di Jackie Chan, referente spesso citato quando si parla dell'action thai Ong Bak, anche il film di Phutchaya Pinkeaw riporta il cinema ad uno stato primigenio, infantile, dove il divertimento è il primo elemento necessario. Basandosi sulle incredibili performances atletiche dell'altrimenti inespressivo Tony Jaa la pellicola costruisce, in crescendo, una serie di stunt e acrobazie di inenarrabile dinamismo. Non stupisce allora il clamore destato in occidente e l'immediato sbarco in Europa, con il benestare dal solito Luc Besson, innamoratosi di una storia tutto sommato semplice, banale, e di un mix di furia e folklore ai limiti del kitsch. Eppure, malgrado la nomea acquisita fuori patria, Ong Bak è un piacevole passatempo che abbina muscoli in movimento e ritmo, nonostante un'insopportabile regia sciatta che, come avveniva nei film del succitato Chan, si limita a inquadrare da diverse angolazioni le sequenze pericolose, ovviamente eseguite senza controfigura, e a proporne ogni possibile replay per stupire la platea. Per fortuna, dote da non sottovalutare, non manca una certa ironia, prevalentemente nella caratterizzazione dei personaggi, volutamente prefigurati come macchiette – il cattivo che parla con il vocoder, il suo braccio destro feroce e dopato, il buon selvaggio prode e virginale, la ragazza di strada burbera, il compagno di viaggio prima ambiguo e poi eroico – e nella loro interazione, tragicomica e sopra le righe prima dell'esplosione di violenza finale. Il che conferma l'ipotesi di partenza: Ong Bak è opera immatura, acerba, ma coglie, forse involontariamente, l'essenza del diversivo ludico applicato al grande schermo, riconducendo ad una forma candidamente schietta che nell'attuale magma di sterotipi action è paradossalmente una parentesi fresca e immediata.

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Titolo originale: Ong Bak


Regia: Phutchaya Pinkaew


Soggetto: Prachya Pinkaew, Panna Rittikrai


Sceneggiatura: Suphachai Sithiamphian


Fotografia: Natawut Kittikun


Montaggio: Thanat Sunsin


Musica: Atomix Clubbing


Scenografia: Arkadech Kaewkotara


Costumi: Worathon Kritsanaklin


Interpreti: Tony Jaa (Ting), Mum Jokmok (Ai Humlae), Panon Yeerum (Boonting), Pumwaree Yodkamol (Muaylek), Rungrawee Barijindakul (Ngek), Chatewut Watcharakhun (Peng), Wannakit Siriput (Don)


Produzione: Prachya Pinkaew, Sukanya Vongsthapat per Baa-Ram/Ewe Productions


Distribuzione: 01 Distribuzione


Durata: 108'


Origine: Thailandia, 2003


 

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