Pane, amore e fantasia compie 60 anni

gina lollombrigida e vittorio de sica in pane, amore e fantasia

Uscì il 22 dicembre del 1953. E fu un campione d’incasso, raccogliendo al botteghino un miliardo e mezzo di lire: come dire, più di Checco Zalone adesso. Fu uno di quei film che fecero cambiare la storia del cinema italiano. Lo fece passare dal neorealismo – da quel crudo, doloroso sguardo aperto sulle ferite della guerra – ai toni più dolci, più distesi della commedia.

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gina lollombrigida e vittorio de sica in pane, amore e fantasiaCompie sessant’anni Pane, amore e fantasia. Uscì il 22 dicembre del 1953. E fu un campione d’incasso, raccogliendo al botteghino un miliardo e mezzo di lire: come dire, più di Checco Zalone adesso.

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Pane, amore e fantasia non fu un film qualunque. Fu uno di quei film che fecero cambiare la storia del cinema italiano. Lo fece passare dal neorealismo – da quel crudo, doloroso sguardo aperto sulle ferite della guerra – ai toni più dolci, più distesi della commedia. Se il cinema italiano fosse stato un aereo, quello era il momento in cui passava dal sorvolare montagne, fuochi e rovine bombardate al sorvolare pianure dove la gente tornava a vivere, a incontrarsi, ad amare.

Fu un processo breve, si consumò in neanche dieci anni. La guerra aveva portato distruzione, sgomento, la sparizione di tanti attori compromessi col fascismo. E tante storie da raccontare. Bastava raccontare quel che era accaduto poco prima, ed era già cinema. Nacquero Roma città aperta (1945), Paisà (1946), Germania anno zero (1947), Ladri di biciclette (1948), Umberto D. (1952).

L’Italia e l’Europa erano un tappeto di macerie, architettoniche e umane. Lavorare, mangiare, sopravvivere erano il problema principale, talvolta l’unico. Per il Lamberto Maggiorani senza più bicicletta, per il ragazzino di Germania anno zero, per il vecchio professore di Umberto D.. Poi, arriva Pane, amore e fantasia, e la musica cambia.

Luigi Comencini, il regista, girava in bianco e nero. Ma era un bianco e nero più dolce: dove, lo sentivi, splendeva il sole. Il sole su un paesino della Ciociaria. Un piccolo mondo antico, un grumo di case su un monte. Un piccolo teatro a cielo aperto. Le uniformi chiare dei carabinieri, carabinieri in un paese dove non ci sono delinquenti. Il fascino elegante, un po’ gentiluomo un po’ gaglioffo, di Vittorio De Sica. L’erotismo selvatico, asprigno della Lollobrigida, con le gambe nude, seduta sull’asinello come poi le donne si sarebbero sedute sulla Vespa Piaggio: di traverso. 

“La vicenda che stiamo per raccontarvi è immaginaria. Ma è tuttavia una vicenda umana”. Così comincia il film, con un cartello che ha la sua importanza, per segnare il passaggio da quel cinema che era la lingua scritta della cronaca – il Neorealismo – all’altro cinema, quello che avrebbe cercato di far ridere e sorridere, ma senza dimenticare mai chi siamo, che cosa facciamo. Senza mai dimenticare la realtà.

locandina di pane, amore e fantasiaE quel 1953 era un anno speciale. L’ultimo di un settennato speciale. Quello nel quale fu sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega allo spettacolo – in pratica, Ministro dello spettacolo di allora – fu Giulio Andreotti. Lui? Sì, proprio lui. Non ancora novantenne, ma appena trentenne. Con le idee molto chiare, a volte anche dure.

Dice la leggenda che, irritato da Umberto D., e dal successo che in America avevano i film del Neorealismo, abbia detto “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Quella frase in realtà non la disse mai. Però stroncò Umberto D. su una rivista, suggerì tagli ai film di Rossellini. Ma fu lui a salvare il cinema italiano. Subito dopo la guerra, in una riunione cruciale, un ammiraglio americano disse “il cinema italiano è stato inventato dai fascisti, e perciò deve essere soppresso”. Lui mediò, discusse, cucì, riparò, legiferò. E dopo sette anni del suo mandato la produzione di film italiani era sestuplicata.

Un genio del cinema come Fellini gli fu sempre amico. Fu grazie ad Andreotti che tanto cinema italiano poté nascere: con i soldi che, grazie ad una sua legge del ’49, le produzioni americane che giravano a Cinecittà erano obbligate a lasciare in Italia.

Nacque anche così quel cinema che fu la naturale evoluzione del Neorealismo. Da Monicelli con I soliti ignoti (1958) a Dino Risi di Il sorpasso (1962), da Alberto Sordi a Vittorio Gassman, passando per i ciuffi ingenui e un po’ arroganti dei “poveri ma belli” Renato Salvadori e Maurizio Arena. Il cinema italiano era ancora neorealista. Solo che aveva imparato a sorridere.

E cominciò a farlo con quel mix pressoché perfetto di pane, amore e fantasia. Pane, perché prima il pane, sempre e comunque, in ogni storia. Amore, perché è l’altra cosa che ci lega tutti alla vita. E fantasia, per i mille modi in cui mescolare i due ingredienti, creando storie diverse.

 

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    2 commenti

    • Che bell'articolo.Garbato,intelligente,di quella semplicità e capacità di sintesi che ti fa capire subito quello che devi sapere.Ma perchè non lo ripropongono in Rai con questa bellissima prefazione?

    • In realtå il film venne diretto da De Sica…lo raccontano tutte le testimonianze di chilavorò sul set…