#RomaFF17 – Armageddon Time: incontro con James Gray

Il regista incontra la stampa per presentare il suo ultimo lungometraggio Armageddon Time. Nel film Anthony Hopkins, Anne Hathaway e Jeremy Strong

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James Gray sbarca a Roma con Armageddon Time, un evento in coproduzione Festa del Cinema e Alice nella Città, già presentato allo scorso Festival di Cannes. Il regista, sceneggiatore e produttore statunitense, giunto al suo ottavo lungometraggio, ci conduce nelle strade di una New York anni ’80 in compagnia di un giovane rampollo del Queens. Una storia di crescita personale che conta, tra i suoi principali interpreti, le star Anthony Hopkins, Anne Hathaway e Jeremy Strong.

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“Ho fatto due film ultimamente, uno dei quali nella jungla amazzonica e l’altro nello spazio. Avevo bisogno di liberarmi di questa parte artificiale, volevo essere onesto su me stesso, sulla mia famiglia, riscoprire il perché amo il cinema”.

Inizia con questa dichiarazione l’incontro tra la stampa e il regista avvenuto oggi pomeriggio all’Auditorium. Un incontro che ha cercato di mettere in luce il lavoro di ricostruzione operato dal cineasta all’interno del film, divenuto un vero e proprio viaggio nella propria infanzia, nei ricordi di una vita e delle persone che l’hanno popolata: “Quando sono arrivato in sala di montaggio sono rimasto colpito da una sensazione di malinconia e mi sono reso conto che quasi tutti i personaggi nel film sono persone che oggi non ci sono più. È una storia di fantasmi e io cerco di riportare in vita la mia famiglia; questo è un privilegio ma anche un compito molto complesso”.

Tra le difficoltà, racconta Gray, quella di dirigere attori che riproducessero persone così importanti della sua vita e con i quali, ammette “è stato difficile parlare, perché volevano saperne di più sui miei genitori, su di me, e io detestavo questo perché non volevo una pura e semplice imitazione. Impedivo loro di prendere informazioni perché volevo che fossero proprietari del personaggio”.

Armageddon Time riflette di politica, di un sogno americano che, tiene a sottolineare Gray, “è una bugia, uno di quei miti di cui ogni civiltà ha bisogno pur non essendo mai stato reale”. È un film pienamente immerso nella Storia; la storia che è spesso maestra di vita e alla quale è essenziale guardare, sostiene il cineasta, ponendo una grande attenzione ai dettagli: “Io, ad esempio, ho uno strano fascino nei confronti della Seconda Guerra mondiale; metto le mani su tutti i libri che parlano di Hitler, perché per me si tratta di qualcosa di molto importante. Hitler oggi è più un astrazione e forse tra 300 o 400 anni sarà ricordato come una persona orribile ma non si conosceranno i dettagli; e questo mi preoccupa perché è lì che si annida il diavolo”.

Guai però anche a chi dimentica il tempo presente, l’oggi in cui viviamo, un’epoca in cui il male può assumere forme diverse, insediarsi “in una società dove ciò che conta è solo il prodotto, e alla quale possiamo rispondere sono con istruzione ed arte”. O ancora avere il volto del successo prematuro, di fronte al rumore del quale “l’unica cosa che conta è cercare di fare il miglior lavoro possibile, diventare il miglior artigiano possibile e pensare che ciò lo si sta facendo perché altre persone possano magari guardare il lavoro e trarre qualcosa, anche se fosse il capire cosa non fare”.

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