Sense8. Un manifesto incompiuto della contemporaneità

La chiusura della serie delle sorelle Wachowski da parte di Netflix ha messo in luce quanto le due stagioni siano state lo specchio della contemporaneità

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“Non c’è mai stato uno show più globale e con un cast così diverso e internazionale, elemento che si riflette solo nella comunità di fan appassionati alla serie di tutto il mondo.  Ringraziamo Lana, Lilly, Joe e Grant per la loro visione, e l’intero cast e la troupe per il loro lavoro e impegno”

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– Cindy Holland, responsabile contenuti originali Netflix

 

Smaltita l’indignazione e la protesta, l’hastag #RenewSense8 e la petizione, le scuse più o meno formali di Netflix e le chiarificazioni dei realizzatori sulle domande rimaste in sospeso, è arrivato il tempo di dichiarare la fine ufficiale della serie diretta dalle sorelle Wachowski. Necessario questo taglio? Forse sì per lo sforzo produttivo richiesto dall’avere location sparse in 16 città e 13 paesi, meno se si considera questa come una grave perdita del livello qualitativo proposto dal servizio streaming. E non si tratta di farne un discorso di estetica seriale, ma sopratutto di considerarne uno simbolico per quello che Sense8 ha significato metaforicamente per Netflix. Fin da subito sembrava infatti una produzione nata come necessità da parte dell’azienda americana di avere un manifesto artistico, destinato a rimanere nel catalogo come la bandiera di chi punta ad essere la prima alternativa concreta alla sala cinematografica. Perché quello che tutti i detrattori dei servizi in streaming imputano ancora a internet, e a Netflix in primis (vedi la battaglia all’ultimo Festival di Cannes), è il fatto di aver eliminato l’esperienza della visione condivisa, di aver privato lo spettatore della collettività delle immagini. Come risposta la prima piattaforma al mondo di streaming ha invece prodotto nel 2015 una serie che ha proprio al suo centro il concetto di condivisione. Otto persone, di otto nazionalità diverse, sono connesse tra di loro e possono condividere l’esperienza dell’altro. Non ci sono più barriere geografiche e culturali. E’ quello che comunemente accade quando si rilascia nel flusso di internet un qualsiasi prodotto audiovisivo: lo si rende accessibile a chi non potrebbe in nessun altro modo usufruirne. Sense8 diventa così simbolo del contenitore in cui è stato immesso, come a sottolineare che ormai non si può più prescindere dal discorso produttivo prima di intraprenderne uno artistico

Sense8

Questa serie ha di fatto palesato che il dove ed il come si può usufruire di un prodotto è diventato fondamentale per intraprendere delle scelte a livello tematico. Non se ne fa un discorso unicamente di censura (anche se la maniera esplicita con cui viene trattata la sessualità e il palese rimarcare le tematiche LGBT probabilmente non sarebbe sopravvissuta in molti palinsesti televisivi) ma soprattutto di genere. Una serie come Sense8 rimane infatti, a partire dalla sua incompiutezza, del tutto inclassificabile e per questo fuori da ogni logica categorica su cui viaggiavano le produzioni seriali fino a qualche anno fa. Quando nel 2004 uscì Lost (a cui inizialmente Sense8 era stata fortemente avvicinata) fu rivoluzionario il gioco iniziato con lo spettatore ignaro, fino ad un certo punto almeno, se era stato messo di fronte ad un thriller, ad un mistery o a qualcosa che sfociasse addirittura nel paranormale. Questo però stare in bilico tra i generi durante le sei stagioni della serie ha dovuto forzatamente cedere ad una quadratura del cerchio in qualche modo necessaria. Con Sense8 questo non è successo. Proprio perché immersa nel flusso di internet e proprio perché proposta all’interno di un servizio che dà ai suoi utenti la possibilità di spaziare da formati a categorie diverse, questa serie si è potuta permettere il lusso di inglobare qualsiasi genere conosciuto dell’audiovisivo. Ci sono le arti marziali, Bollywood, il metacinema, la commedia ed il thriller che si intersecano e confluiscono in un unico prodotto. Lo scambio continuo delle prospettive degli otto è al servizio di questo intreccio che diviene la vera base fondante dell’intera struttura della serie, oscurando del tutto la debole trama orizzontale. Questa superficialità nello scrivere il perché ed il cosa unisse tutti i personaggi non si percepisce però come un errore. Proprio nella logica infatti che degli episodi si possa usufruire in qualsiasi momento, si è evitato di caratterizzarli con una forte struttura portante che avrebbe tolto loro la validità come singole unità.

sense8 3

Questa completa immedesimazione nell’immersione del flusso dei generi e delle tempistiche poteva però essere pericolosa e rendere (come è successo con altri prodotti Netflix vedi The OA) l’intera operazione alla fine poco incisiva. La formula che ha reso invece imprescindibile Sense8 in un discorso di serialità contemporanea è che a questo aggrapparsi alle logiche smaterializzanti della rete ha aggiunto la concretezza dei corpi e dei luoghi. Se è vero infatti che non esistono barriere geografiche e fisiche, è altrettanto vero che questi aspetti esistono nella loro dimensione umana. Netflix ha quindi da una parte abbattuto i muri dei topoi classici della narrazione e della produzione seriale, dall’altra ha recuperato il peso del realismo visivo ed empatico. Gli attori hanno dovuto realmente dividersi tra set sparsi in decine di città del mondo, c’è stato l’impiego di migliaia di comparse, e soprattutto c’è stata un’attenzione precisa nella ricostruzione del background personale e culturale di ogni singolo personaggio. Ed è proprio questo punto a farci ricollegare con il concetto da cui si è partiti inizialmente, ovvero quello di condivisione e collettività: non è il luogo che sancisce l’esperienza condivisa della visione, ma la necessità di ritrovare la propria contemporaneità nella narrazione. Solo su questo concetto, esplicitato volontariamente o meno da Sense8, Netflix avrebbe potuto portare avanti in solitaria una lotta contro chi inveisce, nella ciclica destrutturazione del moderno, contro la poca concretezza dei suoi prodotti. I costi di un’operazione di così alta qualità non glielo potevano oggettivamente più permettere, ma quello che è stato creato con lo sguardo da sempre d’avanguardia delle Wachowski resterà comunque un punto di riferimento per chi voglia approcciarsi alla scrittura della contemporaneità nell’era digitale, quando il concetto di condivisione è cambiato in maniera incontrovertibile. C’era bisogno di qualcuno che lo trasformasse in immagini, ed è arrivato Sense8. I pray every single day for a revolution.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=TRJYCW_dCN4]

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