Sentieriselvaggi21st #12 – Jan Bot: Ciao! Sono un robot e sono un regista

In un museo di Amsterdam c’è una macchina che si sostituisce allo sceneggiatore al regista e al produttore realizzando film. Il risultato è un cinema automatizzato, sempre nuovo e perennemente attuale

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Un estratto da Cinema Futuro (Ed. Nero) di Simone Arcagni

“Queste osservazioni mostrano come il sistema nervoso, se visto come un automa, debba assolutamente avere una componente aritmetica oltre che una componente logica e come in esso i requisiti aritmetici siano tanto importanti quanto quelli logici”.
John von Neumann, Computer e cervello

 

Jan Bot non è che un algoritmo. “Intelligente”, sì, ma pur sempre un algoritmo. In azione all’interno dell’Eye Filmmuseum di Amsterdam, produce ben sei film al giorno. Sostituisce e condensa in sé professionalità come quella dello sceneggiatore e del regista, e riesce a fare a meno di tutti i tecnici e di tutti gli attori. Come fa? In primo luogo scova delle fonti che gli sono state sottoposte, come giornali, social network e siti di informazione, i trend topic del giorno, poi sonda il database di riferimento, ovviamente digitalizzato (e cioè l’archivio dell’Eye Filmmuseum, che in gran parte è dedicato al cinema delle origini), e cerca, applicando un modello semantico utile a rintracciare contenuti che rimandino alle parole-chiave del giorno. A questo punto, dopo la fase di ricerca semantica, Jan Bot raccoglie le occorrenze, insomma: preleva i film, li “guarda”, e procede ad effettuare i tagli di montaggio in modo da creare un breve video di 30 minuti che viene postato sul sito del museo.

Jan Bot, come si diceva, è un algoritmo di intelligenza artificiale, ed è stato creato da Pablo Núñez Palma e Bram Loogman e prodotto da Mirka Duijn usando alcuni tool liberi di computer vision e language analysis. Si tratta, ancora una volta, dell’applicazione di una serie (seppure complessa) di valichi tra “sì” e “no”, tra “acceso” e “spento”, “se” e “o”, “0” e “1”, ovvero la materia prima del DNA digitale. L’intelligenza per ora sceglie e seleziona sulla base di riferimenti ridotti, ma nulla ci impedisce di immaginare cosa potrebbe fare connettendosi a grandi repository di data: basterebbero già soltanto i social network, nei quali la libertà di interpretare nessi visivi e tematici, di collegare parole e frasi sarebbe talmente ampia e complessa da portare a due risultati: il primo sarebbe quello di inventare il cinema sperimentale definitivo.

“Sperimentale” proprio nella sua conformazione etimologica, nella sua pratica ancestrale e nel suo significato più puro, in quanto ogni mossa è un esperimento rispetto a una ridda di operazioni possibili e irripetibili in sequenza (anche perché nel digitale la sequenza non è mai lineare, ma discreta, e perciò si schernisce alla ripetizione di stringhe). Il secondo risultato è di far diventare il cinema un prodotto di una black box perfetta, tanto vasta e impossibile che solo il training la può modellare, ma non può essere capita, compresa e riprodotta.

Con black box si intende infatti il luogo della processazione pura, lo spazio tra l’input e l’output che tende a divenire sempre più misterioso. Si tratta del lavoro che la macchina fa
tra l’elaborazione dei dati e il risultato finale. E tutto quello che sta nel mezzo? Spesso non riusciamo a ricostruirlo. Troppe informazioni, troppi passaggi, troppi calcoli, ma è proprio in questo processo imperscrutabile che potrebbe risiedere il prossimo cinematografo. E come prima conseguenza avremmo che sarebbe di fatto possibile ottenere dei film personali, costringendo il cinema e i suoi immaginari a una personificazione totale, a una individuazione atomizzata e sempre irripetibile.

Sarebbe quindi un cinema senza critica cinemato cinematografica e senza la storia del cinema, un cinema sempre nuovo e sempre presente, proprio perché proiettato nel futuro. Jan Bot rappresenta così la vertigine di un cinema perennemente illibato, che potremmo definire “post-moderno” se solo al suo avvento avessero significato le definizioni di “post” e di “moderno”. Parliamo di un cinema perennemente attuale, persino prima dell’attualità stessa. L’intelligenza artificiale apprende cos’è il cinema mentre lo fa, e quindi si presenta come un cinema nel suo perenne farsi, anche se non inventa niente, se non crea immagini, se non genera film. Vive di scarti di cinema, della sua storia del cinema, degli archivi, di critica, e lo fa proiettando tutto nel futuro. Essendo una macchina non può provare nostalgia, ma svolge il suo ruolo nella consapevolezza del fatto che il cinema è semplicemente un linguaggio che non è necessario riscrivere ogni volta, ma che può anche essere semplicemente riprogrammato.

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