Spaghetti Story. Incontro con il regista e il cast

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Per questa originale dramedy sulla crisi vista dai trentenni d’oggi, Ciro De Caro si è avvalso di volti poco conosciuti, dell’improvvisazione dei simpatici interpreti e della sensibilità della sua compagna Rossella D’Andrea, attrice e co-sceneggiatrice del film. Ci spiegano com’è stato lavorare insieme e avere a disposizione un budget ridottissimo

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spaghetti storyIn seguito alla proiezione dell’accattivante Spaghetti Story si è tenuto l’incontro con il regista Ciro De Caro, l’attrice e co-sceneggiatrice Rossella D’Andrea, gli interpreti Valerio Di Benedetto, Cristian Di Sante, Sara Tosti. Il film uscirà il 19 dicembre in ventisette copie. Prima delle interviste è stata annunciata una caccia al tesoro: i personaggi di Spaghetti Story hanno lasciato in giro per Roma i loro Maneki neko (portafortuna giapponesi a forma di gatto). In palio ci sono quattro biglietti omaggio per il film.

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Ciro De Caro, raccontaci come nasce Spaghetti Story, che ha avuto un budget ridottissimo e mira a far stare bene il pubblico senza essere autoreferenziale.

Ciro De Caro: Nasce dall’esigenza di voler raccontare qualcosa. Si pensa sempre che per fare un film occorrano tanti mezzi. Un po’ come se uno dicesse: «Voglio giocare a calcio, ma o gioco nella Juventus o niente». Girare in maniera economica, invece, vuol dire anche sentirsi più liberi. Noi abbiamo voluto raccontare la crisi dei trentenni d’oggi in maniera non edulcorata.

Ci dài maggiori dettagli su quanto è costato?

Ciro De Caro: È costato più o meno come un’utilitaria, anche perché ci sono persone (che ringrazio) che hanno deciso di non essere pagate.

Voi attrici come vi siete trovate con un regista che vi ha concesso più spazio e libertà del solito?

Rossella D’Andrea: A scrivere il film siamo stati io e Ciro, che è anche il mio compagno; quindi il mio personaggio è nato e cresciuto con me. In fase di scrittura comunque ho cercato di evitare gli stereotipi e di non rappresentare, come spesso succede nei film italiani, donne con drammi molto forti, ma di pensare a una donna normale, fragile, non definibile immediatamente. Nel mio personaggio trovo aspetti di mia madre, delle mie zie. Giovanna dice a Valerio quello che loro ripetono a me. Comunque Ciro ci ha concesso molta libertà di movimento.

Sara Tosti: Il fatto che la sceneggiatura fosse filtrata dalla sensibilità femminile ha aiutato. Io sono molto diversa dal mio personaggio, ma mi ci sono immedesimata subito perché sembrava reale.

Valerio Di Benedetto: Eravamo una squadra che non aveva mai giocato insieme prima ma a cui è venuto estremamente naturale. Il mio personaggio è un antieroe, il classico attore anonimo che ripassa i monologhi mentre porta gli spritz, e conosco molti ragazzi così. Comunque il problema di budget si traduce in un problema di tempo: sapevamo che dovevamo portare a casa ogni scena il prima possibile. Abbiamo dato il cento per cento. Meglio di così non sarebbe potuto uscire.

Cristian Di Sante: Valerio non sputa mai, come direbbe Scheggia (ride). Comunque la domanda che mi perseguita è quanto c’è di me nel mio personaggio, ed essendo Scheggia uno spacciatore è un quesito tosto. Anch’io vengo dalla periferia e ho conosciuto tanti ragazzi con quel modo di fare, che ogni cosa che dicono la credono fattibile. Penso che il mio personaggio sia bellissimo; ha anche un lato sensibile che emerge verso la fine. Io e Valerio ci eravamo incrociati prima di questo film solo un paio di volte, ma siamo stati subito così affiatati che la nostra coppia doveva per forza risultare perfetta.

Ciro De Caro: Li ringrazio pubblicamente perché quella spontaneità che vedete è reale. Volevo fare il minor numero di prove possibile perché poi sarebbe stato difficile ricreare quelle battute nate con naturalezza.

In questo “neorealismo rinato” vedi il futuro del cinema?

Ciro De Caro: Mi piacerebbe che molti prendessero lo scooter e raccontassero le loro storie. Vedo che anche all’estero dall’Italia si aspettano l’Italia, non cose finte. Tentando di ricreare Hollywood in Italia si rischia solo di fare casino.

Quanto c’è di tuo in quei discorsi tremendamenti veri sulle donne al ristorante?

Ciro De Caro: Ah sì, erano cose che mi stavano qua e volevo dirle (ride). M’incazzo veramente quando una donna va in bagno prima di ordinare.

Rossella D’Andrea: Io non trovo ci sia maschilismo in quello che dice Scheggia. In questo mi sento antifemminista: secondo me l’uomo dev’essere uomo e la donna dev’essere donna. Ed è vero che spesso noi al ristorante andiamo in bagno prima di ordinare, anche se non mi sento la principale rappresentante di questa categoria (ride).

Il finale è ammiccante ed è quello che farà apprezzare il film al pubblico italiano. C’è un po’ di piaggeria in questo?

Ciro De Caro: Io non lo considero un happy ending. La tragedia della nostra generazione è proprio l’assenza di finale. Qui si capisce che i protagonisti hanno fatto propri alcuni insegnamenti, ma non si sa che fine faranno. Hanno la possibilità di migliorare, ma non si sa se l’attueranno. Come noi, che siamo sempre in bilico con la speranza che qualcosa migliori.

Rossella D’Andrea: Il finale è anche un pretesto per raccontare la trasformazione dei quattro protagonisti: la loro vera essenza non è quella che mostravano all’inizio.

Rossella e Ciro, per la storia vi siete ispirati ai vostri battibecchi reali? E diteci qualcosa riguardo alle musiche.

Ciro De Caro: Io originariamente volevo fare un film senza musica, dal momento che non avevamo soldi per le musiche che avrei scelto. Alla fine per fortuna le ha scritte il fratello di Rossella. Per quanto riguarda la trama, io scrivevo di getto e quando facevo leggere a Rossella ciò che avevo scritto sentivo ridere nell’altra stanza. I personaggi comunque sono merito suo. In questo tipo di sensibilità le donne hanno una marcia in più. Siamo andati avanti litigando, ma per fortuna stiamo ancora insieme (ride).

Rossella D’Andrea: Il soggetto e la trama sono opera di Ciro. Io ho conferito più spessore ai personaggi, anche se quello di Scheggia è tutto merito suo. È stato bellissimo e durissimo lavorare insieme. Finivamo per prendere sul personale tutte le critiche che ci facevamo. Ma quest’esperienza ci ha regalato anche tanti insegnamenti utili per quello che faremo in futuro.

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