(unknown pleasures) “The Passage", di Roberto Minervini

the passage
Non solo Minervini non poteva non girare in Texas, ma non poteva nemmeno non iniziare con The Passage. Il suo cosmo nel cosmo non è solo la Stella Solitaria, ma lui stesso. Un cinema il cui sostrato è il panteistico himself dell'autore, denso, stratificato, curioso come scrittore e regista, che si incarna nei totem finzionali e reali degli himself ed herself 

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the passageC’è un motivo che va oltre la storia, è appartato e unico e finitezza, del perché il Texas ha adottato come bandiera la Stella Solitaria. Dentro e fuori le paludi, le foreste tropicali, i deserti, i fiumi, il mare, è qui che l’Ethan di Sentieri selvaggi si rifiuta di entrare dentro casa e se ne va verso l’orizzonte; è qui che il Gardner di Fandango scappa dalla festa di matrimonio e scruta da una collina l’orizzonte; è qui che il Butch di Un mondo perfetto scappa e libera e muore scrutando l’orizzonte. Sempre in Texas, sempre come stelle solitarie. Ed è qui che Roberto Minervini doveva e ha girato la sua “trilogia texana” – composta da questo The Passage (2011), Low Tide (2012) e Stop the Pounding Heart (2013), nessuno dei tre distribuito –, dove l’aggettivo geo-localizzante va oltre per divenire svelamento dell’anima, svelamento ontologico: le uscite autostradali di Houston, le spiagge di Baytown, i ranch di Waller, insorgono fino a divenire completi e attivi deuteragonisti, indipendente sistema politico-economico-sociale dentro il quale far reagire le camminate e i silenzi di Harold, Danny, Sara. E così roulotte, confezioni di birra, steccati, uova in padella divengono estensioni minime eppur necessarie dei protagonisti, strati di vite, storie e relazioni che la visione di Minervini registra e in modo fantasmatico fa emergere, e che noi stessi possiamo, liberamente e razionalmente, cogliere – quegli steccati sono prigioni, quelle uova in padella sono solitudine. Ma lo scarto è qui, nell’estrema e validante immersione texana delle vicende che si fa pressante e spossante universalità, con temi, eventi e vite che hanno molto da narrare e ricordare a qualunque malato, madre e famiglia. Un movimento endogeno ed esogeno che si riversa continuamente al di là del suo stesso bordo, senza iati, senza soluzione di continuità. E i titoli, le effigie, sono testimonianze: il passaggio, bassa marea, ferma il battito del cuore.

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Ana ha un cancro terminale. E incontra Jack, appena uscito di prigione. E per soldi Jack decide di accompagnare Ana da un curandero. E raccolgono Harold, in cammino verso la sua prima mostra. E si recano sulle montagne. E fanno un bagno. E…
Non solo Minervini non poteva non girare in Texas, ma non poteva nemmeno non iniziare con The Passage. Il suo cosmo nel cosmo non è solo la Stella Solitaria, ma lui stesso. Ogni vita, relazione, luogo gli appartiene, è la sua vita, le sue relazioni, i suoi luoghi. Questa cavalcata triennale che l’ha portato dal festival di Bruxelles a Venezia a Cannes è una glossa intrecciata e consapevole del Roberto Minervini marito di Denise Lee, studente di un master a New York, insegnante di cinema nelle Filippine. E’ un universo in continua espansione, gemmazione, è il darwinismo di Stephen Gould, unthe passage cespuglio che si ramifica nelle più intricate e irregolari direzioni, con passi falsi, ritorni, scarti. La famiglia Carlson di The Passage è al centro di Stop the Pounding Heart, Colby di Low Tide ama la Sara di The Passage e Stop the Pounding Heart.
Vite, relazioni, luoghi che Minervini conosce personalmente e che in ossequio a questa finissima azione teorica fa personalmente mettere in scena dagli stessi protagonisti, per un cinema il cui sostrato è il panteistico himself del regista che si incarna nei totem finzionali e reali degli himself ed herself di Alberto Salinas, Mischa Kuball…

E l’origine di tutto e tutti è appunto The Passage, la cui traccia vitale e parallela è data dalla malattia terminale della madre di Denise, la moglie del regista. Da qui parte una spinta emotiva ed artistica che ha prodotto tre film in tre anni, e che ha in questo primo capitolo una primordiale ma già sferica, liscia, realizzazione. Un Minervini denso, stratificato, curioso come scrittore e regista, capace di scontornare dalla visione assoluta che si trova in profondità nel suo modo di girare tre personaggi, due storie parallele, un road movie. Una visione assoluta che lo porta ad avere la massima esposizione possibile del suo cine-occhio, per cogliere, seguire, anticipare o perdere tutto quello che succede nell’incessante pedinamento che effettua sui personaggi, un magma senza tempo né spazio che con un’operazione di retro-scrittura e retro-montaggio avrà poi forma . E se questa formalizzazione in Low Tide e Stop the Pounding Heart arriva a sfiorare il bianco, il nulla, il puro movimento, in The Passage si carica di molti altri oggetti, eventi, relazioni, personaggi: appaiono gradualmente tre personaggi (Ana, Jack, Harold), le storie si intrecciano (Ana e Jack), il film accede ai propri tratti e diviene un genere (il road movie). All’interno di questo scheletro, di questa sinossi, il respiro di Minervini di espande e si contrae, raccontando interi accadimenti ed emozioni in the passageuna manciata di secondi (Ana che compra il gelato al supermercato), facendo vibrare gli oggetti di tracce di significato (Ana nella quiete che si affida alla religione, Jack in estasi che suona un blues), saltando in luoghi e tempi diversi con rammarico e dolore (Ana tra i riti del curandero, Ana tra le montagne).

Questo vedere, questo filmare – sempre in coppia con l’empatica Marie-Hélène Dozo, montatrice non a caso dei Dardenne – seppur sottilissimo inspira iper-drammaticità, il nome reale che sta dietro al cinema di Minervini, come in modo esemplare scolpisce la prima sequenza, con Ana e il dottore che parlano: una triangolazione di movimento che va dalla paziente al medico e poi di nuovo ad uno dei due, parole che scorrono, uno stacco a tagliare il tutto: una drammaticità spoglia di tutto il resto, una iper-drammaticità. Che si protrae e si specchia nella prima – unica? – volta che vediamo i grandi spazi di questo anti-Texas, linee dell’orizzonte e corsi d’acqua che vengono filmati con pudore, circondandoli di un’inquadratura che li rende più semplici, più ragionevoli. 

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