VENEZIA 68 – "I film che ricordiamo, sono quelli senza il lieto fine" Incontro con Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud e il cast di "Poulet aux prunes"


Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud adattano per il cinema un altro romanzo a fumetti dell'autrice dopo il successo di Persepolis. Questa volta non scelgono il medium dell'animazione, ma della ripresa dal vero. In conferenza stampa oltre ai registi sono presenti gli interpreti Mathieu Amalric, Maria de Medeiros e Golshifteh Farahani.

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I due autori di fumetti Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud presentano insieme al cast la loro seconda collaborazione cinematografica dopo Persepolis, Poulet aux Prunes. Anche quest'opera seconda, presentata in concorso nella selezione ufficiale, è tratta da un romanzo a fumetti della Satrapi. In questo caso però non si tratta di animazione, ma di un film con attori. Il salto a un medium diverso tiene banco fra le curiosità dei giornalisti.

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Nel fumetto Nasser Alì suona il tar, che è uno strumento tradizionale persiano; nel film viene sostituito dal violino, che è uno strumento più occidentale. E' solo uno dei piccolissimi cambiamenti del passaggio al film dal fumetto, che può essere quasi visto come uno storyboard libero; è un passaggio naturale e sorprendente…

MARJANE SATRAPI: Nel libro uno strumento come il tar funziona molto bene, è molto grande, con un aspetto molto particolare… Non volevamo che la trama del film girasse intorno allo strumento, quindi abbiamo deciso di scegliere il violino, che non è uno strumento puramente occidentale, perché esiste anche nella musica tradizionale iraniana o tra gli tzigani: è uno strumento molto più internazionale. Per quanto riguarda il passaggio al film, inizialmente avevo scelto il mezzo del fumetto perché volevo rendere questa storia universale: l’astrazione del disegno mi consentiva di farlo, è stata una scelta consapevole. Però poi abbiamo anche voluto sperimentare altro ed è stata un’esperienza sicuramente interessante.

 

Qualcuno in sala stampa fa notare che un grandissimo violinista come Nasser Ali non dovrebbe essere uno spiantato come si vede nel film…

VINCENT PARONNAUD:  Possiamo immaginare che ha avuto un agente incapace! Quello che noi raccontiamo è una favola. Il fatto è che quando torna a Teheran non ha più nulla, perché tutto ciò che è materiale non lo interessa. La cosa divertente è dire "il più grande violinista dell'epoca"; è una formula fiabesca, così come la ricostruzione non è storica.

 

E' stato soddisfacente, dopo un'opera di animazione, servirsi dello strumento dell'attore?

SATRAPI: più che soddisfacente! Io e Vincent avevamo immaginato e recitato delle scene noi stessi, e improvvisamente questi attori hanno dato corpo a quello che noi avevamo immaginato, la cosa ci ha inmpressionato. È stato un atto magico. Quando si fa animazione è tutto sotto controllo, come quando si gioca con le marionette, puoi sorvegliare tutto, mentre con attori veri bisogna contare su di loro, sulla loro energia. Ci siamo innamorati di loro, li abbiamo amati e loro ci hanno ricompensato.

PARONNAUD: Io mi aspettavo il peggio, perché avevo una visione caricaturale dell’attore sul set, ma in realtà questi attori non erano lì per caso, gli era piaciuta la sceneggiatura. Ho visto persone che lavoravano e che sono riuscite a commuovermi.

 

Sul tono del film, qualcuno potrebbe uscire dal cinema e dire che è un film che riscalda il cuore, e qualcun altro potrebbe dire che in alcune parti è un film nichilista. Ha cercato di ottenere un tono misto?

SATRAPI: Sì, è un film nichilista! Se cerca una nota di speranza allora di sicuro non la troverà nel mio film, perché non c’è alcuna nota di speranza nella vita, quella che affrontiamo tutti i giorni. Per quanto riguarda me e  Vincent , ricordiamo sempre i film che non hanno un lieto fine: Chinatown non se lo dimentica nessuno. Quando invece il film finisce con il protagonista che si sposa, ha due figli e un cane, allora non lo si ricorda. È un film che ha molto a che fare con la nozione di piacere, quest’uomo perde il piace di vivere, di suonare. L’ultimo piacere che perde è il cibo. È un piacere che una volta che lo perdi, arrivi sicuramente alla morte. Il film è a meta fra grande amore per la vita, e la consapevolezza delle regole del gioco, che alla fine tutti moriremo.

MATHIEU AMALRIC: Conoscevo molto bene il lavoro di Marjane e Vincent. Quando Marjane mi ha chiamto per parlarmi di Poulet aux prunes, che conoscevo benissimo, le ho detto “che richiesta è la tua? Intrepretare un iraniano?” Ma è riuscita a convincermi, mi ha detto: “nei film di Lubitsch James Stewart parla in inglese ma interpreta magari un cecoslovacco, eppure ci si crede”. Per Marjane è una cosa molto importante, è l’universalità della rappresentazione cinematografica.

 

Una domanda per Golshifteh Farahani, che intepreta l'innamorata perduta di Nasser Ali: per te che esperienza è stata muoversi in questo Iran surreale, completamente ricostruito?

GOLSHIFTEH FARAHANI: Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato: questo è l’Iran che abbiamo perso durante il periodo di Musadek, quando ha voluto nazionalizzare il petrolio e poi gli americani e i britannici hanno sostenuto il colpo di stato. Questo tipo di Iran se ne è andato, è scomparso per sempre. È il simbolo dell’Iran, dell’amore, o di qualsiasi cosa vorremo avere ma non possiamo ottenere, perché tutto questo ci è sfuggito. Per me è stato vivere un sogno meraviglioso lavorare con Marjane ed altri iraniani in esilio.

MARIA DE MEDEIROS: Sono stata felicissima di questa esperienza, perché mi piace molto l’arte che supera le frontiere e penso che le persone che vengono dal fumetto, come Marjane e Vincent, diano una prospettiva diversa, introducendo un’enorme libertà. Perché oggi è sempre più la televisione che comanda. Ci sono troppi diktat di origine televisiva, e molti registi del cinema hanno finito per assorbirli, mentre invece loro hanno avuto una libertà creativa estremamente salutare e stimolante.

 

 

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