#Venezia75 – Ying (Shadow), di Zhang Yimou

Reinterpretazione del “Romanzo dei tre regni”, un classico epico della letteratura cinese. Wuxiapian per ricongiungersi, o quantomeno, rincorrere la propria ombra. Fuori Concorso

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Reinterpretazione del “Romanzo dei tre regni”, un classico epico della letteratura cinese, film d’azione che racconta la storia di queste figure storiche, “le ombre”, e di una in particolare, pronte a servire il suo Re come sosia e a difenderlo da eventuali attentati o rappresaglie nemiche. L’ombra fa da scudo praticamente al Re, coprendo il ruolo di comandante dei soldati ed esponendo la propria faccia, nelle occasioni di mediazione e in ogni sorta di attività pubblica. La storia non li ha mai riconosciute pienamente e sistematicamente finivano nell’oblio. Un potente Re e il suo popolo vengono cacciati dai propri territori e desiderano riconquistarle. Il suo generale è un visionario folle, pronto a vincere la battaglia, muovendo i fili da un nascondiglio segreto e utilizzando tutti come pedine, anche il sosia del sosia…

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Zhang Yimou è mosso ovviamente dal doppio, attraverso queste ombre, esistite sin dalla antichità. L’ombra deve entrare in azione nel momento critico, quando la vita del suo padrone è in pericolo. L’ombra deve fondersi completamente con la realtà, in modo che non sia più possibile distinguere il vero dal falso. Ma l’ombra, come poi il manichino, è un doppio che ha acquisito autonomia personale, non più dipendente, figure vicaria che occupa il posto lasciato vuoto dall’uomo, di cui è rimasto solo il nero calco, fattosi ormai straniero. Una sorta di wuxiapian, in cui, ciclicamente, il regista cinese sembra ricongiungersi (in realtà, in questi anni, è come se seguisse due binari paralleli, da una parte il cappa e spada, dall’altra, lo sguardo rivolto su storie e personaggi di bassa estrazione sociale) o quantomeno, rincorrere la sua ombra. Nell’ombra trapelano sotto tracce stilistiche, più tipicamente riconoscibili del suo stile.

Il prezioso valore storiografico dell’opera di riferimento, mette in gioco tutte le componenti cinematografiche che identificano l’ultimo periodo del regista: dall’utilizzo dei collaboratori alla psicologia, le pubbliche relazioni, la strategia, management, l’arte militare, dall’estetica all’etica. Culmine supremo o senza culmine? Il cinema di Zhang Yimou è sempre più una cornice di riferimento più che un quadro teorico, spazio (teatrale, tra le gole) entro il quale e a partire del quale si sviluppano nuove implicazioni, nuove relazioni. Gradualismo e subitismo, coscienza ed azione: la realtà omogenea s’interseca con il pensiero “dividente”. Oltre i confini del formalismo estetizzante o delle presunte “cadute” didascaliche di narrazione, l’illusione è nel credere di vedere con gli occhi e di riconoscere senza indugi la verità. Mosaico visivo o tavole di china in movimento, che attraversano ed impressionano set battuti in passato (foreste dei pugnali volanti) in cui si sottrae l’illuminante nella visione del colore primario: per elevare una relazione vera bisogna sacrificare mille verità apparenti. Così l’arte della spada diviene la ricerca di una consapevolezza superiore, come ombrelli avveniristici, che apparentemente riparano dalla pioggia battente e costante, ma sono in realtà armi cartoon. O come la musica, afferrando l’eterno in ciò che è disperatamente fugace o distorto. Combattere senza combattere, scolpire il tempo e lo spazio immaginandoli, vedere con la mente con la certezza di rappresentare la forma permanente di tutta una specie di situazioni, condizioni diverse ed essenziali, tutte equivalenti e tutte espresse in un solo, intenso quadro.

Tutti sotto la stessa ombra, in piedi dinanzi ad essa, e non più in una posizione di dipendenza nei suoi confronti. Ombra e uomo formano un continuum come braccio e spada, naturalismo e umanesimo, la seconda come completamento del primo. Ombra è il “sacrificio” (e)steso alla conoscenza in un mondo in continuo mutamento… ludico e lucido, tra i fendenti splatter e ralenti acrobatici, la carnalità è ormai simulacro dei corpi, più yin che yang. L’ombra è inquietante, nell’ombra ci si nasconde e si trama, forse però Zhang Yimou si è nascosto, più che altro. Da lì balzano improvvisi i pericoli. Forse il cineasta cinese ha scelto percorsi più sicuri. L’ombra è così semplicemente un riparo, non certamente un luogo canonico del perturbante, della morte che torna alla vita, della natura silente che si risveglia. Più che chiudere il visibile nell’invisibile, ha “posato” il suo sguardo ammiccante, per gli amanti del genere, sotto i riflettori spietati dell’analisi critica, senza attraversare necessariamente prima l’opacità dell’immagine… più cinema corazzato che (ri)velato.

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