"Willard il Paranoico", di Glen Morgan

Il film riuscirebbe anche a trovare un'intensa dinamica degli spazi che rendono l'idea del vuoto esistenziale se non fossero continuamente riempiti dalla presenza (stavolta) disturbante di Crispin Glover.

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Alzi la mano chi ricorda particolari commenti positivi all'interpretazione di Crispin Glover nel ruolo di George McFly, padre di Michael J. Fox in Ritorno al futuro. Non era il protagonista assoluto ma comunque una figura centrale nell'economia del film, dove era fondamentale il suo interagire col figlio coetaneo nell'ambientazione americana degli anni '50. Elemento ben oleato di un meccanismo ad orologeria congegnato da un talentuoso Zemeckis. Personaggio molto stilizzato che però non infastidiva e sembrava quasi vivere di vita propria, anche nel doppio ruolo, anche truccato da genitore adulto negli anni '80. Mentre ci gustavamo il film di fantascienza non facevamo certo questi ragionamenti. Perché in certi film si è catturati dall'insieme e non stiamo lì a subire le violenze delle funzionalità messe in campo (recitazione, fotografia, sceneggiatura, etc…). Tale noioso preambolo serve solo a dare il la alla nausea per la messe di complimenti di cui sta facendo incetta Glover in questa sua ultima paranoica interpretazione. Curioso destino per un eterno gregario il cui curriculum attraversa titoli di tutto rispetto: The Doors (è Warhol), Buon Compleanno Mr. Grape, Cowgirls, Dead Man, Larry Flint, perfino un'apparizione in Cuore selvaggio (e con lo sguardo sempre magnetico di Laura Elena Harring si riecheggiano ora lontane atmosfere lynchiane). Per consumare la vendetta gli è stato appena sufficiente dotarsi di una maschera di cera tanto inespressiva quanto falsa, aiutandosi con mossette e smorfie a comando. Quanto basta a soddisfare la sensibilità di Glen Morgan (sceneggiatore di X-Files e Final Destination) al suo esordio dietro la macchina da presa. Un esordio fallimentare che va ad aggiungersi ad una folta schiera di sceneggiatori anche affermati che non sono riusciti a sfondare la superficie delle immagini da loro costruite sulla carta. Non vive il mondo di Morgan (sono più efficaci i giochi di sovrimpressioni dei titoli di testa) né fa rivivere il romanzo di Gilbert Ralston o il ricordo di Willard e i topi, diretto nel '71 da Daniel Mann. Ma le metafore sono lì a portata di mano per non intrigare, i rimandi troppo nobilitanti (Kafka, Stevenson,), i parallelismi troppo evidenti per non colpire nel segno. Ogni elemento nel film si rimbalza di continuo con compiacimento ed ossessività. Il rapporto madre-figlia immerso nell'atmosfera pessimista di una casa usheriana, la condizione dei topi come entità collettiva ansiosa di fuggire dalla propria gabbia (notevoli gli effetti digitali), la vita del travet Willard prigioniero di una solitudine tormentata. E la dualità rappresentata dal topolino Socrate, bianco, pacifista ma passivo, e l'aggressività di Ben (al quale nel '72 fu dedicato un sequel), il leader nero aggressivo come il signor Martin, il dispotico capoufficio di Willard che in passato aveva soffiato l'azienda al padre e ora vorrebbe impadronirsi della casa. E' con questa dualità precaria ma consapevole che Willard costruisce il proprio malsano equilibrio e sarà infatti solo con la violenta uccisione di Socrate che potrà trovare il coraggio della vendetta definitiva (e del baratro finale). Il film riuscirebbe anche a trovare un'intensa dinamica degli spazi che rendono l'idea del vuoto esistenziale se non fossero continuamente riempiti dalla presenza (stavolta) disturbante di Crispin Glover.

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Titolo originale: Willard
Regia: Glen Morgan
Interpreti: Crispin Glover, R. Lee Ermey, Laura Elena Harring, Jackie Burroughs, Kimberly Patton, William S. Taylor
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 100'
Origine: Usa, 2003


 


 


 

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