ZEBRA CROSSING. Il comico controsenso di LOL

Zebra Crossing affronta lo show comico del momento, tra memizzazione, meccanismi da vecchia tv, Aldo Grasso e WarGames. LOL è su Amazon Prime Video

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Dopo la prima produzione Amazon Prime Video di un reality (Celebrity Hunted), e il recente sbarco sulla piattaforma di Amici di Maria De Filippi, il portale continua la propria parabola di avvicinamento all’idea di palinsesto da canale televisivo generalista puntando su di un classico della costruzione di consenso e di immaginario, cioè la risata.

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Il format è la gara
LOL diventa quindi il format giusto al momento giusto, sia per l’azienda che per gli utenti colpiti al cuore dalla pandemia. Il format è una creatura di Hitoshi Matsumoto. E a dire il vero, onore alla messa in scena italiana se l’originale giapponese, seppur geniale, è così costrittivo a confronto. Passiamo con sollievo da 10 brutti ceffi, costretti in uno stanzone fin troppo arredato, agli ampli spazi dei Cinecittà Studios dove Frank Matano può liberamente scorrazzare per salvarsi dall’eliminazione.
Perché comunque di gara si tratta. Via la realtà, via la corrosione satirica, via ogni appiglio a pandemie di sorta. Forse via il “comico” come genere tout court. L’unica regola che resta è non ridere facendo ridere gli altri, in qualunque modo. Si vincono centomila euro da dare in beneficenza (la realtà rispunta all’orizzonte) e già il fatto che un comico, ovvero l’immagine del loser per antonomasia, vinca qualcosa sembra un controsenso. Ma di controsensi è pervaso LOL: non ridere di qualcosa di comico è un già bel cortocircuito; la comicità dentro un meccanismo a gara un altro; ridere delle proprie battute il peggiore.
Questa prima edizione di LOL (non si parla neanche di prototipo, ma di serialità programmata) vede la partecipazione di 10 comici (7 uomini e 3 donne) i quali degnamente rappresentano un ampio ventaglio della comicità italiana di oggi. Si possono ovviamente avere remore sul loro valore comico, ma ciò non toglie che la logica dietro questa panoramica regga bene.
Intanto perché ritrae più o meno tutta Italia: ci sono tre comici romani (Guzzanti, Lillo, Giraud), quattro comici milanesi (Pintus è ormai un milanese adottato) e tre comici campani. Questo calcistico 3-4-3 crea una squadra che deve e può interessare la maggior parte degli spettatori. Mancano i toscani per recuperare la fondamentale geografia della comicità all’italiana. Già Berlusconi puntava molto sulla presenza di comici delle tre macro aree di marketing (Nord, Centro, Sud) e non è solo questione mercantile, quanto proprio riconoscersi in un contesto comico proprio secondo un provincialismo che è atavico al nostro ridere. Provincialismo che si scardina solo lavorando su certi meccanismi, andando oltre il dato geografico e denudando dinamiche comuni. Come faceva Massimo Troisi per esempio (e ricordiamo bene i suoi detrattori ripetere: “quando parla non lo capisco”).
A livello biografico poi la squadra di LOL è composta da due teatranti puri (Lillo e Caterina Guzzanti), un quasi attore dai lunghi trascorsi musico/cabarettisti di stampo demenziale e surreale (Elio, che ormai si pone sulle orme della gloriosa tradizione surreale milanese), due rappresentanti della comicità televisiva mainstream (Pintus e Katia Follesa), tre youtubers (i due Jackal e Matano) e due interessanti nuovi esempi di stand-up all’italiana (Michela Giraud e Luca Ravenna).

Il meccanismo, la mission e la call to action
Se lo scopo è quello detto, il meccanismo del gioco risulta semplice, forse troppo. Bisogna far ridere – punto. Chi ride viene ammonito e poi espulso. Sembra quasi che non sia importante cosa fa ridere, ma se fa ridere, o anche solo sorridere. Vale tutto, e ci sono telecamere dappertutto che spiano tutto. In questo modo LOL (che è una creatura dello streaming) pare voglia andare oltre l’umanità dell’attore comico, e verso la reificazione del comico (Elio/quadro) o la robotizzazione dello sketch (Ciro e Giraud).
Siamo quindi in un regime abbastanza disumanizzato di serialità pura, dove la ripetizione dell’atto è la base della presa in esame. Potremo poi dopo, sulla ripetizione, aggiungere le nostre sfumature. In questa ottica è abbastanza stupido cercare la verginità di uno sketch di Lillo simile, troppo simile, a quello della versione tedesca di LOL. L’innocenza il web l’ha persa da un pezzo. Non serve più il contesto.
Per esempio i tre giovani youtubers prendono il lavoro della comicità televisiva di Pintus o di Katia Follesa per andare verso la neutralità assoluta del web, fatta di scherzi al telefono, calembour audiovisivi (il bastoncino di Matano), smorfie, doppi sensi o freddure telefonate (“i lottatori di Sumo erano sumeri”). Il motivo d’essere di LOL sembra alla fine quello di generare altre innumerevoli creazioni del web. LOL si presta straordinariamente ad essere spezzettato e rimontato in meme, gif, stories e questo già durante la “reale” messa in onda. Palese infatti come sia tutto scritto o quantomeno strutturato (altro che spontaneità: morte ai tempi morti!).
Quindi se anche LOL è un programma comico, la risata sembra essere più la conseguenza di una invisibile onda “internautica” (una volta avremmo detto catodica) che porta tutti a sapere, citare, ridere perché altri hanno riso, vedendo l’innumerevole serie di oggetti lollici sparsi per il web. La sala che ride (e io che rido con essa) ora è sparsa sugli tutti gli schermi possibili del postcinema. Si ride del vuoto perché altri ne ridono. Aldo Grasso scrive: “Non ho riso perché il clima generale era quello della stupidera. La stupidera genera la ridarola.” Il critico trova parole affilate per esprimere i propri dubbi legittimi. Legittimi perché LOL sembra proprio impostato sul grado zero della comicità.
La sensazione si rafforza se vediamo comici ridere, o (anche peggio) se li vediamo ridere delle proprie battute. Infatti, laddove il resto del trafiletto del famigerato critico può far urlare allo snobismo, Grasso coglie almeno un punto: se un comico ride della propria battuta la situazione non è comica ma ridicolmente imbarazzante. Ovviamente pensiamo a Pintus che dopo aver ascoltato Katia Follesa fingere un orgasmo le spara un facile “hai cagato?” e scoppia a ridere da solo. Non è l’unico, ma è un caso limite che dice quanto LOL non voglia veramente essere fino in fondo uno spettacolo comico, quanto altro.

La reason 
Sui social leggiamo difese sperticate di LOL come occasione che unisce questi maestri della risata per farci ridere e farci dimenticare il nostro triste presente. Se anche fosse vero vediamo come sia importante l’oblio, il saper stare nella bolla. In questo modo è ovvio che chi ha generato la propria comicità su un livello più “algoritmico” si trova più avvantaggiato di altri (quindi Pintus, Follesa, i Jackal, Matano, su Guzzanti o Luca Ravenna).
Due casi studio come Guzzanti e Ravenna rendono tutto più chiaro. Possiamo credere che Caterina Guzzanti abbia resistito in tutti modi al farsi una sacrosanta risata ma il lavoro raffinato che da sempre l’attrice fa con e sui suoi personaggi è troppo stratificato per una scatola come LOL. La sua sostanza è la ragione della sua sconfitta (onore a lei!). Pazienza se, teatralmente o televisivamente, il momento in cui la piccola Pippa Amazon si gira verso Matano e fa la voce del demonietto intrappolato è uno dei vertici di tutto LOL. Purtroppo quella istantanea vertigine si perde nel momento, nell’oceano del web, e nel meccanismo di gioco. Diventa quindi estremamente interessante la posizione “oppositiva” di Luca Ravenna che, in apnea, esce per primo, decidendo quasi di non partecipare al gioco (“strano gioco. l’unica possibilità di vincere è non giocare” si dice in WarGames), in una tipica implosione-sottrazione da puro animale da stand-up.

Il benchmark e la sorpresa finale 
Viene subito in mente Troppo Frizzante di Boris: la “ridarola” che stigmatizza Grasso non è però quella disperata di René Ferretti ma quella di Fedez e della raffinata Mara Maionchi. Essa diventa alla lunga comica di per sé e contro sé. Ad un certo punto il benedetto Matano ammette che sorvegliare tramite monitor i comici dalla control room è come osservare il comportamento di alcuni matti. Matano, inconsapevolmente, parla forse di noi che abbiamo visto LOL chiusi in casa, sperando di farci almeno due risate, senza capire che, se non ci fosse da piangere, è la contemporaneità stessa (tra pandemia e social) ad essere diventata ridicola. L’acquario indicato con sorpresa da Matano è diventato il nostro stesso acquario, sia da una parte che dall’altra dello schermo. La comicità dovrebbe forse colpire questa deviazione di senso. Ben venga la sconfitta, la resa di uno stand-up di fronte alla comicità instant creata per la gif, la barzelletta da villaggio turistico o i giochi di parole. LOL ripete il gioco ad eliminazione che imperversa da anni in tv, e lo immette nel flusso del web, in un’ottica d’arredamento di cui la filosofia di Amazon tutta è da sempre protagonista.
La questione centrale diventa il meccanismo ad eliminazione per cui si è sorvegliati da due non-comici che, scrutando i monitor, scoprono tramite suggerimenti “umanotecnici” come il comico x o y (come una persona comune oppressa da un divieto…) abbia fatto una microsmorfia destinata a farlo uscire dalla bolla. E’ la sorveglianza, questa sì veramente comica, del nostro vivere quotidiano a cui non si permette nemmeno più di sorridere. La comicità oggi risiede esclusivamente nella epifanica frase di Elio comico sorvegliato (eccezionale controsenso): “non conta niente il fatto che io non abbia riso, mi fa molto ridere”.

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