14 FESTIVAL DEL CINEMA EUROPEO – Vita da non morire mai. Incontro con Silvana Maja


In anteprima assoluta per la sezione documentaristica del Festival di Lecce, “Cinema e Realtà”, il nuovo lavoro dell'autrice di Ossidiana, che ha seguito dal 2009 al 2012 la lotta contro il cancro di tre donne a lei molto vicine, la sorella Carla, l'amica e produttrice Silvana, e Francesca Palombelli, nota anima delle Giornate degli Autori veneziane. Un lavoro nato come una raccolta di riprese private, ma che passo dopo passo è diventata la nuova opera della Maja

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In anteprima assoluta per la sezione documentaristica del Festival di Lecce, “Cinema e Realtà”, il nuovo lavoro dell'autrice di Ossidiana, Silvana Maja, che ha seguito dal 2009 al 2012 la lotta contro il cancro di tre donne a lei molto vicine, la sorella Carla, l'amica e produttrice Silvana, e Francesca Palombelli, nota anima delle Giornate degli Autori veneziane. Un lavoro nato come una raccolta di riprese private, con videocamerina e piccolo radiomicrofono, senza alcuna finalità di confezione finale, ma che passo dopo passo è diventata la nuova opera della Maja, Vita da non morire mai, per la prima volta proiettata appunto a Lecce. “Ad un certo punto ho sentito proprio come il mandato di raccogliere queste testimonianze, e l'ho fatto senza soffrire, quasi con leggerezza e una certa inspiegabile felicità. Di Francesca ho registrato ad esempio gli ultimi due soffertissimi mesi di vita, ma ogni volta che uscivo da casa sua dopo aver girato sentivo di stare realizzando qualcosa di bello e prezioso”, racconta l'autrice.

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Pensando anche a Ossidiana, il tuo cinema sembra fatto di donne che soffrono molto ma che mantengono nonostante tutto una grandissima vitalità, nei confronti delle quali tu ti poni in una assoluta, quanto complessa, condizione di ascolto totale…

Io provo un immenso interesse per la sofferenza, vista in effetti principalmente attraverso il mondo delle donne. Però ho anche girato un lavoro ad Aushwitz, e in quel caso se non avessi avuto la videocamera con me non sarei mai riuscita a posare lo sguardo su alcuni, insostenibili dettagli. Girando quest'ultimo film ho infatti capito come la barriera della videocamera sia fondamentale per mettere una certa distanza di fiducia con la materia che racconti, anche quando davanti a te ci sono persone per cui provi un affetto e una confidenza senza remore, come nel mio caso.

Un altro punto centrale della tua produzione appare allora il concentrarsi sui dettagli quasi chirurgici del corpo, in questo caso le protesi ma proprio gli arti e i fisici deformati, le cicatrici, le macchie, le reazioni fisiologiche alla chemio. Quanto secondo te il cinema è principalmente storia di corpi in transizione da uno stato a un altro?

Tutto il mio prossimo film sarà incentrato sulle operazioni chirurgiche per cambiare sesso, sarà un documentario sugli uomini che vogliono diventare donne, dunque per me questa è di sicuro una tematica importante. E anche stavolta mi piacerà scendere nei dettagli, raccontare ad esempio come e perché le transessuali scelgono un modello di vagina al posto di un altro…ma con i miei documentari storici in passato ho anche raccontato un altro tipo di corpo, il corpo della massa, il corpo sociale.

Le tue restano comunque storie di donne circondate d'amore, la famiglia, gli affetti. Sembra una condizione chiave per sopravvivere alla prova del dolore.

Questa è un po' una traiettoria nascosta del film, con la quale ho fatto i conti quando ho iniziato a dosare e strutturare minimamente le storie che volevo raccontare. Silvana andava un po' tenuta a freno, mentre di mia sorella ho tagliato quasi per intero tutti i frequentissimi momenti di depressione che avrebbero troppo sbilanciato il film. Francesca, dal canto suo, lavorando nel mondo del cinema, era già bravissima a sapersi concedere o meno all'obiettivo.

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