BERGAMO FILM MEETING 31 – Alec Guinness: Uno, nessuno, centomila

The Man in the White Suit

Se si dovesse descrivere il Guinness attore, allora lo si potrebbe paragonare a una tela bianca, immacolata, sulla quale di volta in volta si va a dipingere qualcosa di nuovo, dettagli che rendono ogni personaggio diverso dagli altri, derivati appunto da un'attenta osservazione della natura umana, del mondo che lo circonda.

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Un attore è un interprete delle parole di altri uomini, spesso un'anima che desidera rivelarsi al mondo ma non osa farlo, un artigiano, una valigia di trucchi, un cofanetto di belletti, un distante osservatore del genere umano…

Alec Guinness – Blessings in Disguise

Mai parole furono così adatte a descrivere il mestiere dell'attore come nel caso di Alec Guinness, al quale il Bergamo Film Meeting ha dedicato, durante questa trentunesima edizione, una retrospettiva intitolata in modo calzante Alec Guinness: Uno, nessuno, centomila. Classe 1914, Guinness inizia a lavorare da giovanissimo in teatro, cimentandosi con i grandi classici, ma è solo dopo la guerra, alla quale partecipa come capitano di marina, che Guinness arriva al cinema. Un debutto tardivo, a trent'anni suonati, in Grandi speranze di David Lean, regista con cui Guinness rimarrà indissolubilmente legato in un sodalizio artistico fino a Passaggio in India. La retrospettiva, tuttavia, si concentra su dieci film, realizzati tra il 1950 e il 1959, che hanno contribuito a fare affermare Guinness come uno degli attori più importanti del cinema britannico di quel periodo e non solo. A questi si aggiunge la serie televisiva del 1979 per la regia di John Irvin, Tinker, Tailor, Soldier, Spy (La talpa), tratta dai libri di John le Carré, in cui Guinness interpreta George Smiley, ruolo che riprenderà anche in un'altra serie, Smiley's People, proprio negli anni in cui girava anche Guerre Stellari.

The Horse's MouthSe si dovesse descrivere il Guinness attore, allora lo si potrebbe paragonare a una tela bianca, immacolata, sulla quale di volta in volta si va a dipingere qualcosa di nuovo, dettagli che rendono ogni personaggio diverso dagli altri, derivati appunto da un'attenta osservazione della natura umana, del mondo che lo circonda. Una recitazione che può essere estremamente fisica e teatrale, come nel caso del Professor Marcus in The Ladykillers, film passato gli scorsi anni al Festival, diabolica mente dietro il colpo criminale, tutto denti, capelli in disordine e un fare mellifluo; oppure una recitazione dimessa, giocata sulla normalità di un personaggio come George Bird, davvero l'Uomo comune, in Last Holiday, un film dagli echi fortemente capriani, una sorta di It's a Wonderful Life con un finale ben più amaro. Forse uno dei suoi ruoli meno conosciuti, ma di certo uno dei più belli, Bird viene reso da Guinness un personaggio di estrema umanità, un uomo che aveva perso ogni speranza e che pian piano la recupera, scoprendo l'amore per gli altri e per la vita, ma anche capendo qualcosa in più di se stesso, acquistando fiducia nelle proprie capacità fino ad allora sprecate in una vita piatta. La medesima umanità, ma al tempo stesso diversa, che si ritrova anche nello strambo pittore Gulley Jimson, ruolo che gli portò la Coppa Volpi un anno dopo l'Oscar, in The Horse's Mouth. Nonostante una vera e propria trasformazione, dalla voce rauca per troppe sigarette e alcool e l'aspetto attempato, Jimson si distanzia dai suoi ruoli più comici. Anche qui c'è un'amarezza di fondo che sottende la parabola di questo artista, fin troppo bistrattato dalla vita. Un vero e proprio outsider che alla fine riuscirà ad essere riconosciuto per il genio che è, pur mettendo in gioco i propri affetti.

The Lavender Hill Mob

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Ma gli anni Cinquanta sono segnati anche da parti più prettamente comiche che permettono a Guinness di mostrarsi in tutto il suo estro artistico, dal Mr. Holland di The Lavender Hill Mob, altro uomo comune che si trasforma in genio del crimine, a quel marpione del Capitano St. James in The Captain's Paradise. Se il primo si muove spesso in modo impacciato, insicuro in questi nuovi panni di truffatore, e lascia piuttosto che la sua genialità si esprima attraverso gli occhi, la stessa genialità che si riconosce anche nel chimico Sidney Stratton di The Man in The White Suit, personaggio più vicino però a quelli del primo gruppo nella sua caduta di illusioni; il secondo, invece, si lascia andare con scioltezza in grandi sorrisi accattivanti e passi di danza, sicuro della propria avvenenza che gli ha permesso di conquistare e tenere due donne contemporaneamente.

Il ruolo ultimo di Guinness è però quello dell'agente dell'MI-6 George Smiley, una spia che è ben lontana dall'immaginario bondiano, dall'uomo d'azione, e piuttosto fa parte di tutto quel sottobosco di menti dell'intelligence, coloro che davvero manipolano le pedine dello scenario politico mondiale da dietro una scrivania. Smiley è un personaggio enigmatico. Difficile capire cosa gli passi per la mente, quali ingranaggi si stiano mettendo in movimento per riuscire a scovare la talpa all'interno del Circus. Smiley, in fondo, conosce bene questo ambiente, e, seppure creda ancora nell'amor patrio e nella necessità di sconfiggere i russi, nello specifico Karla, il capo dei loro servizi segreti, Tinker, Tailor, Soldier, SpyGeorge mostra anche una certa rassegnazione, una forma di scoraggiamento per esser stato messo da parte, sia sul lavoro che nella vita, tradito da amici e, soprattutto, dalla moglie Ann, il suo vero punto debole, donna che ama incommensurabilmente nonostante lo abbia fatto spesso soffrire. Il volto di Smiley è un enigma tanto quanto la sua persona, impassibile, attento ascoltatore e osservatore. Finché non mostra un frammento della propria vita interiore dietro a quei grandi occhiali. Un guizzo degli occhi, uno sguardo più intenso, una vivacità quasi da ragazzino nel riconoscere qualcosa o nell'assaporare una piccola vittoria. È tutto negli occhi di Smiley/Guinness. E in quel suo piccolo, impercettibile sorriso che trasforma i suoi lineamenti rivelando l'uomo dietro la maschera.

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