#Berlinale70 – Never Rarely Sometimes Always, di Eliza Hittman

Una storia di finzione raccontata come un documentario, fatta di attese e rivelazioni graduali. Lo sguardo della cineasta segue e protegge la protagonista in un film sobrio e intenso. In Concorso.

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Lo sguardo di Eliza Hittman sta spesso attaccato addosso alla protagonista Autumn ma non la soffoca. La segue senza pedinarla, la protegge, le fa compagnia. Diventa un’altra decisiva complice, spesso invisibile. La ragazza ha 17 anni, è cresciuta in ambiente rurale della Pennsylvania e la sua vita scorre abbastanza tranquilla. Improvvisamente scopre di essere incinta. Non vuole tenere il bambino e sa di non poter contare sulla sua famiglia. Assieme a sua cugina Skylar, che lavora con lei come cassiera in un supermercato, parte per New York per provare a sistemare la situazione.

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È una storia di finzione ma viene raccontata come un documentario. Lo si può vedere soprattutto dalle domande della dottoressa ad Autumn a New York, in una scena lunga ma estremamente efficace dove la ragazza a un certo punto comincia a piangere. Ma anche in quel nomadismo della protagonista e della cugina per le strade di New York dove si sentono i rumori della pioggia e del traffico e in cui prevalgono quelle tonalità grigie della fotografia di Hélène Louvart, la stessa direttrice della fotografia di tutti i film di Alice Rohrwacher e di La vita invisibile di Eurídice Gusmão che richiama il cinema di Jerry Schatzberg d’inizio anni ’70 per come i luoghi vengono filtrati e raccontati attraverso le protagoniste.

L’universo adolescenziale continua ad essere al centro del cinema di Eliza Hittman, qui al terzo lungometraggio dopo It Felt Like Love (2013) e Beach Rats (2017) che ha vinto il Directing Award al Sundance. Never Rarely Sometimes Always può apparire trattenuto. Invece attende Autumn. La filma negli impulsi di rabbia (l’acqua gettata in faccia a un compagno che la sta prendendo in giro all’inizio del film), nell’improvviso malore al supermercato e in un viaggio che sembra senza meta, in cui si percepisce il suo disorientamento. Ha una sobrietà invidiabile, anche grazie a una colonna sonora che è una specie di ulteriore accompagnamento. Inoltre esplora la paura, la speranza, la necessità di affidarsi agli altri. Con la cugina c’è una scena intensa. Lei si sta baciando con un ragazzo conosciuto durante il viaggio e Autumn, quasi nascosta dietro una colonna, le tiene la mano.

L’immediatezza e la verità sono tra i principali pregi di un film che non si fa mai sopraffare dalla storia da raccontare. Alla Hittman interessa una rivelazione graduale. Non tanto di quello che succede ma di ciò che sta accadendo nella testa di Autumn. In questo senso riesce a tirare fuori il meglio dalle sue giovanissime protagoniste, Sidney Flanigan e Talya Rider, che recitano spesso in sottrazione, hanno le pause giuste in ogni azione e dialogo e mostrano quello che sta accadendo ai loro personaggi come se stesse succedendo a loro. Ma non c’è tecnica né artificio. Forse per questo sono una rivelazione.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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