Bif&st 2012 – "Maternity Blues", di Fabrizio Cattani (Lungometraggi in concorso)


L'opera di Cattani non si fossilizza solo sulla psicologia dei personaggi, ma ha il pregio di mostrare come la società si rapporti a esse, soprattutto guardando a chi è più vicino a queste donne. In particolare, attraverso la linea narrativa dedicata al marito di Clara. È grazie all'unica presenza maschile davvero rilevante che si dà ulteriore profondità a quello finora raccontato, spostando l'asse del film e dandogli maggior respiro, seppure quel senso d'annegamento si ritrovi anche in questo caso.

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Maternity BluesQuattro donne, quattro madri che, per motivi diversi portate alla disperazione, hanno ucciso i propri figli. Un evento che le ha portate a ritrovarsi in un istituto psichiatrico, confrontandosi e aiutandosi a vicenda, nel tentativo di recuperare ciò che avevano e hanno ora perduto. Maternity Blues si snoda come una variazione sul tema. Un film in cui quattro storie principali si incrociano tra di loro, andando ad amplificare il tema centrale, declinandolo in più versioni, tra loro simili, ma diverse al tempo stesso. A queste si vanno ad accostare altri fili narrativi che le attraversano, le arricchiscono oppure creano altre linee tangenti.

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Una narrazione che si fa via via complessa, anche da un punto di vista temporale. Seppur si scelga il personaggio di Clara, l'ultima arrivata all'istituto, come punto di vista privilegiato, in ognuna di queste storie, infatti, il passato viene a sostituirsi al presente più e più volte. Ma non si tratta di semplici flashback bensì, in questo caso, il passato rappresenta una presenza costante che pesa inevitabilmente sulle vicende presenti e future delle protagoniste, andandole a definire, non solo perché la società le addita come infanticide, ma perché loro stesse non riescono a superarlo, bloccate in una sorta di limbo mentale dal quale è difficile uscire. Guardare al passato è per loro come sprofondare di nuovo nell'acqua, elemento simbolo di vita e di morte al tempo stesso, che lega le quattro donne, rivivere una colpa che le accompagna costantemente.

Fabrizio Cattani tratta così un tema delicato e di cui, spesso, poco si parla come quello della depressione post partum, esplorando la mente delle protagoniste ed evidenziando come ognuna di loro reagisca in modo diverso: chi si nasconde dietro una finta spavalderia, chi trova rifugio nella religione, chi ancora non smette di sognare e continua a sperare. Un avvicinarsi a queste donne che si riflette anche nella vicinanza della macchina da presa, mai invasiva, sempre a una distanza di sicurezza, ma comunque una presenza quasi confortante. A volte, però, quasi troppo vicina e di parte, rischiando di cadere in quello che potrebbe essere scambiato per  vittimismo.

Tuttavia, l'opera di Cattani non si fossilizza solo sulla psicologia dei personaggi, ma ha il pregio di mostrare come la società si rapporti a esse, soprattutto guardando a chi è più vicino a queste donne. In particolare, attraverso la linea narrativa dedicata al marito di Clara, un Daniele Pecci che, finalmente lontano dalla TV, riesce a creare, con la sua sofferenza silente, empatia. È grazie all'unica presenza maschile davvero rilevante che si dà ulteriore profondità a quello finora raccontato, spostando l'asse del film e dandogli maggior respiro, seppure quel senso d'annegamento si ritrovi anche in questo caso. Ma l'acqua qui non spinge verso il basso, bensì fa tornare a galla, donandoci un barlume di speranza.

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